E la messa iniziò a guardare in alto

di Roberto Beretta

La campanella, le orazioni mentali, l’adorazione… Ma è solo dal medioevo che l’elevazione è ritenuta il momento centrale del rito, «oscurando» persino la comunione. E all’inizio i vescovi temevano che innalzare l’ostia diventasse un gesto idolatrico o superstizioso. Due esperti ripercorrono la storia di un atto liturgico da ricomprendere.

E quando fu che, probabilmente a torto, l’elevazione divenne il punto centrale della messa? Lo sappiamo con esattezza: fu tra l’XI e il XIII secolo, in ambiente cluniacense, in Italia e Francia soprattutto; e – particolare da paradosso – all’inizio i vescovi ne erano parecchio preoccupati, poiché pensava­no che la cosa potesse degenerare in i­dolatria…

Elevazione dell'ostia - miniatura dall'Antifonario di Ranworth, Inghilterra, XV sec. - Ranworth, St. Helen's Church.

Elevazione dell’ostia – miniatura dall’Antifonario di Ranworth, Inghilterra, XV sec. – Ranworth, St. Helen’s Church.

Escono curiosamente insie­me, e per la medesima editrice Edb, due volumi che trattano in modo diverso del culto eucaristico e in specie dell’eleva­zione dell’ostia: gesto che secoli di rito e di devozione hanno caricato d’enfasi, ma che andrebbe più profondamente ricompreso, soprattutto nel clima teolo­gico ed ecclesiale dell’epoca in cui nac­que. I testi sono quello postumo di Ri­naldo Falsini (francescano liturgista, grande protagonista della riforma con­ciliare) Celebrare e vivere il mistero eu­caristico (pp. 158, euro 14,50, a cura di Mirella Susini) e Spazi e immagini dell’Eucaristia. Il caso di Orvieto (pp. 280, euro 26,70) curato da Gianni Cioli, Seve­rino Dianich e Valerio Mauro, dove que­st’ultimo – cappuccino, docente di Teo­logia sacramentaria – firma un lungo saggio proprio su «Vedere l’ostia». Per­ché se l’eucaristia trova la sua origine nell’atto del mangiare («Prendete e mangiate»), è fondamentale e istruttivo capire attraverso quali evoluzioni l’inte­resse prevalente si spostò invece sul guardare. Lo spiega padre Mauro, collo­cando tale tendenza in «una sorta di tensione spirituale» collettiva del Me­dioevo che esprimeva il «desiderio di contemplare» l’ostia, anche per essere più vicini e partecipi all’umanità di Cri­sto; d’altronde ormai da qualche secolo la teologia enfatizzava la presenza reale eucaristica e anche nei fedeli cresceva (contemporaneamente alla riduzione delle comunioni) l’interesse a «vedere» il sacramento.

Elevazione dell'ostia - miniatura da salterio, Inghilterra, XIII sec. - Oxford, Bodleian Library.

Elevazione dell’ostia – miniatura da salterio, Inghilterra, XIII sec. – Oxford, Bodleian Library.

Una sorta di elevazione esisteva già nel rito originario della messa, ma al momento della comunio­ne e della formula «Ecco l’Agnello di Dio». Furono dall’XI secolo i cluniacensi (ordine appena costituito e molto attivo in quell’e­poca) ad accen­tuare il gesto pre­visto nelle rubri­che del messale romano quando, al momento di di­re «Prese il pane», si doveva portare l’ostia all’altezza del petto: essi cominciarono invece a sollevarla alta sopra la testa, a volte nel momento stesso in cui pronunciavano le parole della consacrazione. L’innova­zione piacque molto ai fedeli, ma non altrettanto alla gerarchia la cui «preoccupazione pastorale – scrive Mauro – si rivolse soprattutto a evitare gesti di adorazione indebita, qualificata tranquilla­mente come idolatra»; in effetti, il ri­schio di interpretare quell’atto in modo superstizioso o addirittura magico non era lontano dalla realtà: c’era chi ritene­va che la visione dell’ostia equivalesse al sacramento (si parlava addirittura di «comunione visiva» od «oculare») e «molti entravano in chiesa per assistere all’elevazione e, una volta finito il rito, se ne ritornavano alle loro occupazio­ni», disinteressandosi completamente del resto della messa. Si pensava inoltre che tale pratica preservasse per quel giorno dalla morte improvvisa e la cre­denza non è del tutto estranea al fatto che si cominciarono a suonare le cam­pane alla consacrazione, in modo che i circostanti potessero letteralmente cor­rere in chiesa (ci sono notizie persino di resse e incidenti). A loro volta i preti e­rano sollecitati a tenere l’ostia alzata il più a lungo possibile, oppure a ripetere l’elevazione varie volte, mentre un chie­rico teneva un cero alzato alle spalle del celebrante affinché i fedeli potessero vedere meglio il tondo bianco portato verso l’alto… Avevano dunque ragione i vescovi a tentare di regolamentare que­sta devozione, che si propagò molto ra­pidamente in Europa (a tutt’oggi, l’ele­vazione è sconosciuta agli ortodossi); e, se già nel 1219 papa Onorio III racco­mandava di inchinarsi con riverenza al­la consacrazione, intorno alla metà del XII secolo si sentì la necessità di annet­tere all’elevazione un sovra-significato spirituale, stringendo un’analogia con l’innalzamento di Cristo sulla croce.

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Pisside in smalto di Limoges, XIII sec. – collezione privata.

Vengono composte anche apposite ora­zioni – alcune delle quali tuttora in uso – da pronunciare mentre si fissa il pane consacrato. D’altronde nel 1274 viene i­stituita la festa del Corpus Domini, con relativa processione cittadina (in prati­ca un’«elevazione» prolungata e pubbli­ca): «Dall’interno della celebrazione – scrive padre Falsini – il culto reso all’o­stia è stato portato fuori in processione, cui seguirà l’esposizione»; e il culto eucaristico si stacca così sempre più dalla messa, trovando spazi a sé come quelli dell’adorazione: la quale ha il suo perno nell’ostensorio, oggetto sostitutivo del gesto sacerdotale dell’elevazione. La vi­sione e il «riconoscimento» dell’ostia funzionano peraltro come attestato di ortodossia, contro le varie tendenze e­reticali che negano la presenza reale nell’eucaristia. Si tratta però – crede an­cora Valerio Mauro – di un risultato «pa­gato a caro prezzo. La visione devota dell’ostia non può essere messa sullo stesso piano della partecipazione alla mensa eucaristica».

Pisside in smalto di Limoges, XIII sec. - New York, Metropolitan Museum.

Pisside in smalto di Limoges, XIII sec. – New York, Metropolitan Museum.

Più tardi verrà la controversia luterana (che non a caso accuserà di idolatria l’adorazione del­l’ostia) e la conseguente riforma cattoli­ca nella quale – ancora Falsini – «si con­suma la netta divisione tra altare e ta­bernacolo»: da allora in poi il culto eu­caristico puntato sullo sguardo «pola­rizza la pietà cattolica post-tridentina» oscurando l’aspetto di comunione, pra­ticamente fino al Vaticano II. Ma il pro­cesso non va interpretato solo nei suoi lati più discutibili. Attraverso una «rivo­luzione» proveniente dal basso, dal mondo laicale (come spesso ac­cade nei cambia­menti della Chie­sa), infatti, l’ele­vazione dell’ostia e i successivi col­legati sviluppi cultuali danno vo­ce a un desiderio profondamente umano, quello del «vedere», che dai secoli bui ad oggi non è affatto diminuito di valore – anzi! – ed è comunque culturalmente e teologica­mente assai legato al credere. Il cappuc­cino Mauro cita l’esempio del fondato­re, il Poverello d’Assisi, per il quale la vi­sione con gli occhi del corpo costituiva l’elemento forte di una spiritualità sem­pre e comunque collegata al Vangelo: «L’animo di Francesco ci aiuta a com­prendere una possibile interpretazione del desiderio medievale di vedere l’o­stia. Abbandonando ogni deriva magica o superstiziosa, possiamo cogliere in quel gesto così distante dalla nostra prospettiva culturale e liturgica i presupposti per un’espressione autentica della fede… Il desiderio in se stesso era animato da uno spirito evangelico: la vi­sione come possibile passo verso una fede piena e matura».

da “Avvenire”, 18/06/2009

Per saperne di più:
Inos Biffi, Eucaristia. La storia e il rito. Storia e catechesi in breve, Milano, Jaca Book, 1994;
Spazi e immagini dell’eucaristia: il caso di Orvieto, a cura di Gianni Cioli, Severino Dianich, Valerio Mauro, Bologna, Dehoniane (EDB) 2007.

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Buongiorno a tutti! Sono una paleografa con la vocazione per la scrittura e il pallino del Medioevo e delle sue storie. Amo la lettura, la buona musica, la poesia, la filosofia, l'arte, il cinema: in breve, qualunque espressione del buono, del bello e del vero. Nel 2011 ho vinto l'VIII edizione del premio letterario "Il racconto nel cassetto" con il racconto "Il Tamburo delle Sirene", pubblicato dalla Centoautori in "Il Tamburo delle Sirene e altri racconti" (2012). Ho collaborato con il sito di Radio CRC e con il giornale on-line "Citizen Salerno" e ora collaboro con la rivista on-line "Rievocare". Faccio parte del gruppo di living history "Gens Langobardorum" e come rievocatrice indipendente promuovo la Scuola Medica Salernitana, gloria della mia città. Nel 2020 ho pubblicato con la Robin "Mulieres Salernitanae. Storie di donne e di cura".
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3 risposte a E la messa iniziò a guardare in alto

  1. Davide Bertoni ha detto:

    Non capisco il punto che dice: «si con­suma la netta divisione tra altare e ta­bernacolo». Mentre ancora nel Medioevo esistevano tabernacoli staccati dall’altare è proprio nel periodo post-tridentino che avere il tabernacolo incastonato nell’altare, al di sopra di esso, diventa universale. Dopo il Concilio Vaticano II al contrario si è tornati, in maniera del tutto ufficiosa, a staccare il tabernacolo dall’altare. Nella maggior parte dei casi quando non si è eretto un nuovo altare dinanzi al maggiore, si è staccato l’altare dalla parete, lasciando il tabernacolo attaccato ad essa, in altri casi si è addirittura relegato il Santissimo Sacramento in un apposIta cappella separata.
    Quanto alla comunione non è in errore, ma bisogna ricordare che il primo ad incoraggiare la frequente comunione fu Pio X.

  2. Davide Bertoni ha detto:

    Il video mi fa pensare che sento fortemente la mancanza delle messe cantate, cui non assisto da tempo. Bello sentire le melodie cui mi ero abituato, che ancora risuonano nella mia testa. Non serve teatro, queste cose si possono ancora sperimentare in forma viva!

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