La leggenda di Beowulf – Robert Zemeckis (2007)

Sembra proprio che l’ultima frontiera della tecnologia oggi sia l’intelligenza artificiale: su internet e sui social pullulano immagini realizzate con questa tecnologia, e ne vengono fuori le cose più incredibili. E secondo me non mancherà molto che un regista decida di utilizzare l’intelligenza artificiale per girare un film.
Che cosa potrà venirne fuori? Personalmente non lo so.
Molti storcono il naso di fronte ai film realizzati con le nuove tecnologie, sostenendo che nulla potrà mai superare una pellicola tradizionale e temono che troppa tecnologia possa inficiare il risultato della pellicola. Io penso che non sia importante tanto il mezzo quanto il fine; non importa quanta tecnologia ci sia all’interno di un film, ma quanta sostanza ci sia dietro.
Un ottimo esempio è secondo me questo film, diretto quasi vent’anni fa dal regista e sceneggiatore statunitense Robert Zemeckis, per intenderci lo stesso che ha firmato Chi ha incastrato Roger Rabbit e Forrest Gump: La leggenda di Beowulf.

Un perfetto videogioco, si direbbe al primo impatto, girato con la tecnica della motion capture, ovvero catturando i movimenti e le espressioni facciali di attori in carne e ossa “digitalizzandoli”; ossia l’ultima frontiera della tecnologia dell’epoca. Questo sicuramente fa guadagnare molto in effetti speciali, rendendo possibili le cose più impossibili, ma fa anche perdere molto per strada, e di attori come Ray Winstone, Antony Hopkins, Robin Wright Penn e Angelina Jolie restano solo le sembianze virtuali. Questo però può anche essere un linguaggio, per tradurre un genere come quello dell’epica nato per stupire il pubblico che ascoltava con “effetti speciali” narrati: mostri, draghi e altri esseri fantastici che l’eroe deve sconfiggere per realizzare il suo destino.
In molti hanno contrapposto a questo film il molto più tradizionale Beowulf & Grendel girato dal regista svedese Sturla Gunnarsson due anni prima. Io posso solo dire che ho visto anche questo e mi ha molto delusa: troppo contorto, e anche un po’ sconclusionato.
Il film di Zemeckis ha invece il merito di aver proposto una rilettura della leggenda di Beowulf che utilizza il poema epico originale e i suoi personaggi per lanciare un messaggio sempre attuale. Infatti la lotta dell’eroe contro il mostro Grendel per sconfiggere il quale è chiamato da Hrothgar re di Danimarca, non costituisce il fulcro della storia: centrale nell’interpretazione di Zemeckis è il personaggio della madre di Grendel, appena accennato nel poema, e che qui invece costituisce la chiave di lettura di tutta la vicenda di Beowulf.
E il messaggio che viene fuori è secondo me molto bello e anche molto vero, nonostante le apparenze “virtuali”: quando l’uomo scende a patti con il male non può che generare mostri.
In effetti, forse il vero nemico di Beowulf è Beowulf stesso: troppo sicuro di sé, troppo innamorato della sua immagine di eroe, troppo affamato di potere e di gloria. Ed è proprio questo, il desiderio di potere, non l’appetito sessuale come si potrebbe credere, la sua vera tentazione, cui non saprà resistere. Dal suo consenso alla tentazione, rappresentata dalla madre di Grendel, però, non può nascere nulla di buono, ma solo un’immagine distorta di sé, grande e terribile come un drago che distrugge ogni cosa, e che alla fine Beowulf sarà costretto ad affrontare di persona se vorrà riscattarsi.
Questo, però, non segna la fine del male: la tentazione è ancora lì, acquattata nell’ombra, attende tutti. Sta all’uomo, con la sua libertà di scelta, scrivere il finale.
Insomma, bisogna distingere il linguaggio dai contenuti; e se i contenuti ci sono, allora ben venga la tecnologia. E, se un giorno qualcuno deciderà di girare un film con l’aiuto dell’intelligenza artificiale, non sarà tanto l’intelligenza artificiale in sé a dare valore al film, quanto ciò che vorrà dire: e, di solito, questo “artificiale” non lo è per niente.

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Buongiorno a tutti! Sono una paleografa con la vocazione per la scrittura e il pallino del Medioevo e delle sue storie. Amo la lettura, la buona musica, la poesia, la filosofia, l'arte, il cinema: in breve, qualunque espressione del buono, del bello e del vero. Nel 2011 ho vinto l'VIII edizione del premio letterario "Il racconto nel cassetto" con il racconto "Il Tamburo delle Sirene", pubblicato dalla Centoautori in "Il Tamburo delle Sirene e altri racconti" (2012). Ho collaborato con il sito di Radio CRC e con il giornale on-line "Citizen Salerno" e ora collaboro con la rivista on-line "Rievocare". Faccio parte del gruppo di living history "Gens Langobardorum" e come rievocatrice indipendente promuovo la Scuola Medica Salernitana, gloria della mia città. Nel 2020 ho pubblicato con la Robin "Mulieres Salernitanae. Storie di donne e di cura".
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