La cospirazione dell’inquisitore

Se c’è qualcosa che mi dà terribilmente fastidio, quando si tratta di letteratura, sono le etichette.
Sembra che non possa esistere libro che non sia etichettato perbenino e chiuso in un cassetto: fantascienza, storico, giallo, rosa, ecc. E poi ci sono i sottogeneri: poliziesco, spionaggio, thriller, noir… Così ricordo che fu con un certo scetticismo che, su consiglio di alcune comuni conoscenze mie e dell’autrice Giulia Abbate, m’imbarcai nella lettura di questo romanzo, classificato dalla casa editrice come rosa, io che nutro una sonora diffidenza per i romanzi rosa specie se pretendono di essere anche storici, tranne qualche eccezione per la quale è valsa la pena andare oltre la solita copertina “caramellosa”.
Solo che, una volta chiusa la copertina alle mie spalle, mi sono resa conto che mai etichetta era stata più sbagliata: quello non era affatto un romanzo “rosa”, ma un romanzo storico a tutti gli effetti, molto più complesso di quanto non apparisse.

Giulia Abbate, La Cospirazione dell’Inquisitore, Roma, Leggereditore, 2019

A cominciare dalla protagonista, Elisa degli Altoviti, che a prima vista potrebbe sembrare un po’ la “Cenerentola” della situazione: giovane vedova della piccola nobiltà marca papale con una figlia da crescere, ridotta dalla famiglia del marito, il cui obiettivo è sottrarle le sue terre e relegarla in monastero, a fare la serva nella sua stessa casa, la cui vita è ogni giorno appesa a un filo. In realtà è una donna forte, costretta a mettere da parte se stessa e i suoi desideri perché sua figlia Matilde possa avere l’opportunità di scegliere del proprio futuro. Le cose precipitano quando la sua amica Gisella, guaritrice, viene imprigionata con l’accusa di stregoneria, ed ella stessa viene sospettata di legami con la presenza catara nel territorio. Ad indagare viene inviato fra Riccardo, affascinante domenicano con un passato da uomo d’arme e antiche ferite da nascondere: lui potrebbe rappresentare per Elisa la rovina totale, ma anche la salvezza, a seconda della piega che prenderà l’indagine.
E uno dei pregi assoluti dell’autrice sta nel mostrare che non si tratta affatto di un’indagine a esito così scontato come molti ancora vorrebbero far credere: un’inchiesta per eresia all’inizio del Trecento era qualcosa di incredibilmente complesso e delicato, con tutti i conflitti di attribuzione che potevano nascere con le autorità locali, e non privo di rischi per lo stesso inquisitore; aggiungiamo che l’Inquisizione, almeno quella medievale e quella ufficiale romana, dev’essere liberata da un bel po’ di leggende nere costruite a posteriori, soprattutto in materia di tortura e di supplizi, dove vi erano limiti ben più stringenti che nei tribunali civili della stessa epoca.
Fra Riccardo è dunque un personaggio complesso, tormentato, diviso tra il suo dovere di giudice e antichi desideri che egli ha “nascosto sotto il tappeto”. Ha l’abito del domenicano, ma sotto è rimasto uomo d’arme, e si comporta da uomo di potere, anche nei confronti di Elisa: cede alla passione per la giovane vedova illudendosi di avere il coltello dalla parte del manico, ma non può impedire che lei lo cambi. Ed è uno dei particolari che nel romanzo ho trovato poco credibili: un inquisitore, specialmente di provenienza domenicana (cosa non così scontata quanto si pensa) di inizio Trecento, è uno studioso, spessissimo di estrazione universitaria, non un uomo d’arme. In più, specialmente l’ordine domenicano non è tenero per niente contro chi infrange il voto di castità: colui che lo faccia in maniera continuativa rischia il processo canonico e l’espulsione dall’ordine. Dovendo immaginare fra Riccardo, personalmente avrei delineato una figura più simile a quella dell’arcidiacono Claude Frollo tratteggiata da Victor Hugo: un intellettuale raffinato e tormentato, magari dal corpo magro e delicato, che cede alla passione tra mille angosce, e soprattutto consapevole di mettere a repentaglio il suo futuro nell’ordine e la sua carriera, nonché la sua credibilità come giudice.
Ho trovato molto credibile invece l’ambiguità che si crea nel rapporto tra Elisa e fra Riccardo: Elisa è una donna innamorata o una donna che, pur di sopravvivere (e per amore della figlia), non ha esitato a vendersi all’inquisitore? Forse nessuna delle due cose da sole, perché i rapporti umani non sono mai a senso unico: Elisa messa alle strette può aver visto nel suo corpo una via d’uscita, ma nel legame con quell’uomo trova l’occasione per vivere emozioni desiderate e mai realizzate, per esprimere debolezze che una donna del suo stato non può permettersi.
Insomma, togliamo l’etichetta da un’opera che non la merita. Questo non è un romanzo “rosa”, non è letteratura di genere: è letteratura e basta, di un’autrice che sa quello che scrive.

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Buongiorno a tutti! Sono una paleografa con la vocazione per la scrittura e il pallino del Medioevo e delle sue storie. Amo la lettura, la buona musica, la poesia, la filosofia, l'arte, il cinema: in breve, qualunque espressione del buono, del bello e del vero. Nel 2011 ho vinto l'VIII edizione del premio letterario "Il racconto nel cassetto" con il racconto "Il Tamburo delle Sirene", pubblicato dalla Centoautori in "Il Tamburo delle Sirene e altri racconti" (2012). Ho collaborato con il sito di Radio CRC e con il giornale on-line "Citizen Salerno" e ora collaboro con la rivista on-line "Rievocare". Faccio parte del gruppo di living history "Gens Langobardorum" e come rievocatrice indipendente promuovo la Scuola Medica Salernitana, gloria della mia città. Nel 2020 ho pubblicato con la Robin "Mulieres Salernitanae. Storie di donne e di cura".
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Una risposta a La cospirazione dell’inquisitore

  1. newwhitebear ha detto:

    Concordo sul giudizio del frate domenicano, che nel trecento erano tra gli inquisitori i più duri e tenaci. Comunque dal riassunto del testo direi un giallo storico. L’etichetta rosa? Messa ad arte per attirare la folta schiera di amanti del genere romance – ovvero rosa – che spopola in tutti i sensi tra le lettrici e non solo tra quelle.

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