L’amore dai Trovatori a Dante: intervista a Davide Rondoni.

Donna e musico - Affresco da Vannes - XII secolo

Donna e musico – Affresco da Vannes – XII secolo

Lo storico francese Henri-Irénée Marrou, nel suo libro I Trovatori, pubblicato per la prima volta negli anni ’70, definiva l’amore “invenzione del XII secolo”. E non intendeva certo dire che prima l’amore non esistesse e che non esistesse fuori dall’Europa medievale: intendeva dire che l’amore assoluto così come lo concepiamo oggi (comunemente definito “romantico”) e che vediamo incarnato nelle storie dei grandi amanti come Paolo e Francesca o Romeo e Giulietta, non è figlio diretto dell’eros dei Greci e dei Romani, ma dell’amore cantato per la prima volta dai trovatori del XII secolo, quello che noi chiamiamo “amor cortese“, e che loro chiamavano “fin’amor“. E, dalla Francia, il fin’amor è passato in Italia nel secolo successivo, prima con la Scuola poetica Siciliana, poi con i poeti toscani, poi con gli stilnovisti e infine con Dante, che lo sublimerà prima nella Vita Nova e poi nella Divina Commedia.
Su cosa fosse esattamente questo fin’amor sono stati versati fiumi di inchiostro: si è detto che si trattasse di un amore puramente “platonico” per donne irraggiungibili, c’è chi ha affermato addirittura che le donne cantate soprattutto nella Scuola Siciliana e nello Stilnovo, fossero state inventate di sana pianta, o qualora fossero reali, esistessero solo come specchi in cui l’autore potesse riflettere se stesso, o potesse celarvi qualche simbolo o immagine. Eppure, leggendo i versi appassionati, e a volte molto espliciti, di Arnaut Daniel o di Bernard de Ventadour, si ha la netta impressione che si tratti di donne in carne e ossa, donne che essi amano e desiderano anche fisicamente.
E allora? Cos’è il fin’amor, e come si è trasformato, dai trovatori alla Divina Commedia?
Lo chiediamo ad un poeta e scrittore notissimo, Davide Rondoni, fondatore del Centro Internazionale di Poesia Contemporanea dell’Università di Bologna, che nei suoi scritti ha sempre indagato l’amore, sottolineandone la trascendenza: una delle sue raccolte di poesie più famose s’intitola appunto Apocalisse Amore, e il titolo del suo ultimo saggio, L’amore non è giusto, parla da solo. In più, Davide Rondoni è uno dei più grandi esperti dello Stilnovo, e della Divina Commedia, sulla quale ha sfatato molti miti.

Dante incontra Beatrice nel Paradiso Terrestre, - miniatura dal Purgatorio della Divina Commedia Egerton - Bologna, 1340 ca.

Dante incontra Beatrice nel Paradiso Terrestre, – miniatura dal Purgatorio della Divina Commedia Egerton – Bologna, 1340 ca.

Professor Rondoni, qual’è la differenza del fin’amor rispetto all’eros dell’antichità?
I trovatori hanno stabilito un paradigma: la donna amata merita devozione, ed è altro dall’uomo che la ama. In pratica, si scopre l’alterità della donna rispetto all’uomo, cosa che né Catullo né Properzio conoscevano; ed è proprio questa alterità che rende l’amata irraggiungibile, oltre al fatto che, nella maggior parte dei casi, la donna in questione sia già sposata, dunque non può appartenere all’amante.

Ma si tratta di donne reali o di invenzioni poetiche?
No, sono donne in carne ed ossa, proprio perché il poeta si rende conto che l’amata è altro rispetto a lui. Non si può capire la poesia dei trovatori se non si tiene presente che nasce contemporaneamente ad una grande riflessione teologica su come relazionarsi con Dio, l’Altro per eccellenza: è l’epoca dei grandi mistici, di San Bernardo che scrive libri interi per ribadire che Dio non è un dilemma filosofico da sviscerare, ma una Persona da amare. Qui, però, dobbiamo esser chiari su cosa intendessero nel Medioevo per “amore”: l’amore per loro non è un sentimento, non è qualcosa che si sente, ma qualcosa che si ha, una forza che muove, che prende l’uomo e lo porta anche dove non vuole. La donna è “altro”, l’amante non può possederla, è irraggiungibile, e proprio per questo dev’essere oggetto di devozione: quando il trovatore dice alla sua donna “ti amo” non le dice, come i poeti del Romanticismo, “sei mia”, l’amore non è una riduzione dell’altro a sé. E il sesso in questo non c’entra: puoi portarla a letto anche cinquemila volte, ma non sarà mai tua.

Cosa succede nel momento in cui, dalla Provenza, questo tipo di poesia passa in Italia?
Sostanzialmente non succede granché. Cambiano i contesti sociali e politici, cambia la lingua, ma il concetto di base non cambia: la donna continua ad essere oggetto di devozione e irraggiungibile.

Qualcuno, però, ha sostenuto che la “disincarnazione” della donna sia cominciata in Italia e che, soprattutto nei poeti stilnovisti, la donna (se non è inventata di sana pianta) è soltanto una via per arrivare a Dio.
Qui c’è un grosso equivoco: è l’amore la via per arrivare a Dio, la donna è colei che lo scatena, che innesca un movimento. Le donne cantate dai poeti della Scuola Siciliana, come da quelli dello Stilnovo, sono anch’esse donne in carne ed ossa, prova ne siano i “deboletti spiriti” di Guido Cavalcanti, cioè il momento in cui un uomo non capisce più niente in presenza della sua donna; tutta la letteratura stilnovista è piena delle reazioni fisiche che la donna amata scatena nel poeta. E, come nel caso dei trovatori, anche qui si percepisce l’alterità della donna rispetto all’uomo che la ama. Per questo penso che le tenzoni, come quella di Cino da Pistoia con Selvaggia, o quella di Dante da Maiano con Nina, siano vere, e non una finzione letteraria: se ami qualcuno, e lo consideri “altro” rispetto a te, non ti metterai mai al suo posto.
È Dante a fare il salto di qualità, identificando Beatrice con Dio.

A proposito di Beatrice, la donna angelicata per eccellenza, molti sostengono che Dante, della donna reale, avesse preso soltanto il nome, e l’avesse usato per personificare la teologia o comunque qualcosa di completamente metafisico.
E ti sembra “angelicata” una donna che, con un semplice gesto della mano, è capace di mandare un uomo sottosopra? Dante non ha scritto la Commedia per lasciarci un trattato di teologia mascherato da poema: Dante scrive perché è stato posto di fronte ad un problema esistenziale, ovvero quel miracolo di nome Beatrice che gli è stato messo davanti e poi gli è stato strappato via. Lo dice egli stesso, alla fine della Vita Nova, che scrive dopo la morte di quella ragazzina che aveva appena intravisto e che pure gli aveva sconvolto l’esistenza: lo scopo della sua vita sarà scrivere per lei quello che non è mai stato scritto per nessuna, e se non lo farà sarà un fallito. È Beatrice il motore di quel viaggio che è la Commedia, in cui Dante parte dalla selva oscura e arriva alla visione di Dio; è per ritrovare quella donna che Dante passa attraverso tutti gli aspetti dell’umano e del divino. E, quando la trova, trova anche Dio, perché la strada è la stessa, l’amore.
Ma non è che, una volta che Dante è arrivato fino a Dio, Beatrice scompare: l’ultima volta in cui la ritroviamo è nel momento supremo, quello della preghiera alla Vergine di San Bernardo, con le mani giunte, insieme agli altri santi, mentre prega per lui.

Ma possiamo credere a quel che Dante dice? È realtà o letteratura?
La letteratura, se è vera, non si può separare dalla realtà, il poeta non si può separare dall’uomo: non è possibile farlo oggi, figuriamoci all’epoca di Dante. Siamo noi “riduzionisti” che pretendiamo che un libro sia un mondo a parte, fuori dalla realtà; già nell’Ottocento, il poeta Charles Peguy criticava quegli intellettuali che pretendevano di conoscere tutto con l’analisi, di esaurire il reale prendendo i dati e mettendoli in fila. Basta poi dare un’occhiata alle nostre antologie scolastiche, in cui la letteratura viene insegnata come una riduzione a sistemi.
Non c’è niente da fare, la vita non è riducibile a teoria, la vita rompe le forme, perché la vita umana è bisogno: l’uomo è fatto per ricercare sempre di più. E i poeti ci fanno vedere quelle zone dell’anima e della vita in cui non è possibile star tranquilli. E per mostrarci, e Dante lo sapeva meglio di chiunque altro, che l’unica cosa in grado di tenere insieme l’anarchia della vita è l’amore.

Per saperne di più:
Davide Rondoni, La Divina Commedia poesia del movimento – 25 gennaio 2008 – Convento dell’Immacolata, Salerno;
Italia vs USA, la partita della cultura. Intervista doppia a Michael Rothenberg e Davide Rondoni – articolo su Citizen Salerno;
Davide Rondoni, Pirandello e Peguy. Il velo e l’evento – 31 maggio 2014 – Convento dell’Immacolata, Salerno.

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Buongiorno a tutti! Sono una paleografa con la vocazione per la scrittura e il pallino del Medioevo e delle sue storie. Amo la lettura, la buona musica, la poesia, la filosofia, l'arte, il cinema: in breve, qualunque espressione del buono, del bello e del vero. Nel 2011 ho vinto l'VIII edizione del premio letterario "Il racconto nel cassetto" con il racconto "Il Tamburo delle Sirene", pubblicato dalla Centoautori in "Il Tamburo delle Sirene e altri racconti" (2012). Ho collaborato con il sito di Radio CRC e con il giornale on-line "Citizen Salerno" e ora collaboro con la rivista on-line "Rievocare". Faccio parte del gruppo di living history "Gens Langobardorum" e come rievocatrice indipendente promuovo la Scuola Medica Salernitana, gloria della mia città. Nel 2020 ho pubblicato con la Robin "Mulieres Salernitanae. Storie di donne e di cura".
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Una risposta a L’amore dai Trovatori a Dante: intervista a Davide Rondoni.

  1. vagarte ha detto:

    L’ha ribloggato su Vagarte's Blog.

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