Vivevano in catapecchie, ma costruivano cattedrali

di Silvia Guidi

Una recente ricerca di Martina Saltamacchia sul finanziamento della costruzione del duomo di Milano.

Milano - cattedrale di Santa Maria Nascente.

Milano – cattedrale di Santa Maria Nascente.

Furono le piccole offerte, donate dalla popolazione meno abbiente, la parte più cospicua delle entrate per l’edificazione della cattedrale milanese. È questa la rivelazione sorprendente che emerge da una ricerca di Martina Saltamacchia, della Rutgers University (New Jersey, Usa), che ha esaminato con attenzione i Registri delle offerte del Duomo di Milano. Davvero centrato, quindi, il titolo del volume scritto dalla studiosa: Milano, un popolo e il suo Duomo (Genova-Milano, Marietti, pagine 192, euro 56). E davvero la chiesa dedicata a Santa Maria Nascente fu l’opera di un popolo: principi, mercanti, uomini d’arme, ma anche, appunto, la folta schiera degli anonimi, con le loro offerte modeste ma frutto di sacrifici. Di questo popolo facevano parte anche strozzini e briganti e prostitute, che al termine dei loro giri notturni versavano una parte dei loro guadagni offrendoli alla Madonna (sui registri è annotato il loro nome e la loro professione).

Lapide che commemora l'anno della costruzione nel 1386 - Milano, duomo.

Lapide che commemora l’anno della costruzione nel 1386 – Milano, duomo.

«Un pomeriggio di due anni fa sento don Stefano Alberto esclamare: “La tua vita è fatta per fare cose grandi, come gli uomini del Medioevo che vivevano nelle catapecchie e costruivano le cattedrali”. L’entusiasmo sorto in me per quell’augurio è tale che la mattina successiva mi precipito dal mio professore di Storia economica, chiedendogli di poter fare una tesi a partire da quella frase. Così, inaspettatamente, è cominciato un viaggio di 18 mesi nella storia del Duomo di Milano e della sua Fabbrica nei primi 15 anni dalla sua fondazione (1387)» racconta Martina Saltamacchia sul mensile “Tracce“.
Prima ancora che maestoso esempio di architettura gotica lombarda, agli occhi del visitatore attento il Duomo di Milano appare innanzitutto come testimonianza di una devozione spettacolare, segno tangibile di una mentalità religiosa che nel Medioevo permeava profondamente la vita degli uomini: «Senza differenza di classe, tutti accorrevano – annotano gli Annali della Fabbrica del Duomo – a portare il proprio obolo per la grande impresa, con le materiali offerte di denaro e robe». Immediato, per chi si accosta a queste pietre con semplicità e sincera curiosità, porsi molteplici interrogativi: come e chi lo costruì? Chi lo finanziò? Quali motivazioni spinsero povera gente a innalzare un’imponente cattedrale di marmo, la più grande, per lunghezza, del mondo allora conosciuto? La mancanza di uno studio completo a partire dalla trascrizione e analisi della mole di manoscritti, registri e carteggi conservati nell’Archivio della Fabbrica del Duomo di Milano ha aperto la strada a svariate interpretazioni storiche e suscitato numerosi dibattiti: mausoleo dinastico voluto da Gian Galeazzo Visconti per la sua stirpe o cattedrale cristiana voluta dal popolo? Progetto finanziato dai lasciti dei ricchi mercanti per celebrare il loro prestigio sociale o simbolo dell’orgoglio cittadino che ambiva a primeggiare sugli altri comuni italiani edificando una chiesa di proporzioni mai viste?

Contrafforti, archi rampanti e pinnacoli - Milano, duomo.

Contrafforti, archi rampanti e pinnacoli – Milano, duomo.

Dopo la lettura di opere di autorevoli storici che attribuivano arbitrariamente la paternità della costruzione al principe piuttosto che a nobili e ricchi mercanti, senza mai comprovare, però, le loro tesi con un riscontro effettivo numerico sulle fonti, la Saltamacchia ha intrapreso un’analisi quantitativa puntuale, mai effettuata prima, di manoscritti inediti dell’Archivio del Duomo, in modo da presentare un quadro dell’identità dei donatori e dell’entità delle donazioni in denaro e in natura, fonte principale di finanziamento del Duomo, e fornire al dibattito sul finanziamento della cattedrale un contributo originale, strettamente aderente ai contenuti numerici delle fonti. Particolarmente ricchi di notizie e informazioni si sono rivelati, da una parte, i Registri delle Oblazioni, in cui quotidianamente veniva annotata la descrizione di ciascun dono e del suo valore, insieme ad alcune note sintetiche sul suo offerente; dall’altra, è negli Annali che la studiosa ha potuto ritrovare, minuziosamente tratteggiati, i fatti, i personaggi e gli avvenimenti di un’immane costruzione durata ben sei secoli. Il lavoro non è stato facile, ma «lo scoraggiamento iniziale per l’incomprensibilità delle scritture (in caratteri gotico lombardi) e la lunga e ripetitiva trascrizione di cifre (in lire-soldi-denari, ed espresse in sistemi differenti dal nostro, metrico decimale) si è presto trasformato in commozione man mano che da quegli inchiostri sbiaditi cominciavano a far capolino innumerevoli storie di uomini e donne mossi quotidianamente a piccoli grandi atti di carità».

Zona absidale - Milano, duomo.

Zona absidale – Milano, duomo.

È una full immersion documentaria in una mentalità molto lontana dalla nostra. «All’uomo medioevale è ben chiaro come tutto concorra alla Costruzione – spiega Saltamacchia – come ogni gesto, per quanto banale o umile, nell’offerta acquista un valore eterno, così ogni bene, anche il più insignificante, serve all’edificazione della cattedrale. Ogni cosa, dentro questa prospettiva, diventava occasione di dono: il fiorino d’oro come la monetina di rame, l’anello di diamanti come il bottone in madreperla, la botte di vino come il sacco di biada, la tovaglia ricamata come il drappo logoro. Ogni dono trovava poi prontamente il suo utilizzo nel cantiere (calce, ferro, utensili), nella chiesa (paramenti sacri, arazzi e cere), tra gli operai (pane e vino) o, ancora, veniva trasformato in denaro tramite vendita all’incanto, una pubblica asta organizzata ogni giorno presso il palazzo comune nella piazza adiacente al cantiere». Ogni circostanza partecipava di quest’opera, persino la morte. «Quando le epidemie di peste serpeggiavano per la città – continua la storica – deputati della Fabbrica si recavano presso i lazzaretti per spogliare i defunti delle loro vesti, che venivano rivendute dopo un anno di deposito precauzionale in un apposito magazzino, oppure, se eccessivamente deteriorate, se ne ricavavano bottoni e fili intessuti d’oro e d’argento da porre separatamente in commercio. Ciascuno, col suo tanto o col suo niente, concorreva alle necessità della costruzione. Notai, speziali, pescatori, orefici, fornai, mugnai, macellai prestavano gratuitamente le loro braccia per scavare le fondamenta. Ingegneri ed operai del cantiere devolvevano talvolta in offerta il loro salario, o vi rinunciavano in cambio di un’indulgenza per i loro peccati. Le prostitute, terminato il loro giro notturno, deponevano una parte del ricavato sull’altare. Lì, il vicario dell’Arcivescovo doveva provvedere affinché rimanesse sempre acceso un lume, così che a qualsiasi ora gli offerenti potessero versare il proprio obolo; la fioca luce della lampada permetteva all’incaricato, detto ebdomadale, di ricevere l’offerta mantenendo nella penombra il volto del donatore». Quando non era il fedele a recarsi alla Chiesa, era la Chiesa a bussare alla porta del fedele. «Tutti desideravano partecipare alla costruzione della cattedrale, chi sgrossando un blocco di marmo, chi versando una moneta, chi mettendo da parte un po’ del suo raccolto per gli operai del cantiere, ma non sempre era possibile alla gente giungere nel centro di Milano dalle città e dalle campagne, assentandosi dalla bottega o dal campo per percorrere a piedi strade che il freddo, i briganti o le frequenti guerriglie rendevano spesso impervie. Per questo la Fabbrica, negli anni, aveva perfezionato, con notevole successo, un sistema capillare di raccolta delle offerte che raggiungesse ogni angolo del contado. Cassette e ceppi – tronconi di legno vuoto dove versare l’elemosina – venivano collocati in tutti i punti nevralgici e di maggior passaggio: presso le porte urbane, ai crocicchi delle strade principali, nelle chiese, nei palazzi comunali. Schiere di ragazze vestite di bianco sfilavano danzando e cantando nelle piazze e nei carrobi, chiedendo ai passanti offerte per la cattedrale. Sacerdoti, frati mendicanti e volontari laici venivano inviati, in squadre ordinate, nei villaggi più lontani. Lì celebravano la messa mattutina a cui tutto il popolo accorreva, e dopo una sentita omelia sulla virtù della carità veniva dato annuncio della grande impresa di costruzione. Quindi, il gruppo dei questuanti bussava a ogni porta per chiedere alle famiglie donazioni di qualunque forma».

Veduta della navata principale - Milano, duomo.

Veduta della navata principale – Milano, duomo.

Anche il divertimento e il desiderio di far festa insieme erano vissuti per la cattedrale. «Spettacolari processioni, dette “trionfi”, venivano organizzate annualmente dalle sei porte di Milano per portare solennemente in Duomo la propria offerta» spiega l’autrice dello studio, «ciascuna porta gareggiava per essere la più sfarzosa, inscenando drammi sacri o mitologici su carri allestiti da tutta la popolazione. All’arrivo sul sagrato, i cortei erano accolti da una folla capeggiata da duchi, cavalieri e dame, e a ciascuno veniva offerto un boccale di vino».
«L’aspetto più impressionante di questa storia per me – ci tiene a precisare la Saltamacchia – è tuttavia da ricercarsi nei lunghi elenchi di cifre contenuti nei registri di donazioni. Se al nostro sguardo distratto appare uno stuolo di svettanti santi di marmo a ricordarci il Cielo, se l’abbraccio della Madonna ci coglie, alta sopra il caos delle nostre giornate, perché non dimentichiamo mai quanto siamo preferiti e amati, è per lo spettacolo della carità che, in anni segnati da guerre, vessazioni, carestie ed epidemie, si inscenò silenzioso per le strade e i vicoli di questa città. Solo nell’anno 1400 sono circa 8.000 le donazioni raccolte, in denaro o in natura, per un valore totale di oltre 42.000 lire dell’epoca. Cifra assai ragguardevole, se si pensa che, oltre a costituire poco meno di un terzo delle entrate (tra le altre forme di ricavo c’erano, ad esempio, eredità e possessi immobiliari), copre la quasi totalità delle ingenti spese per il gigantesco cantiere (pari a più di 49.000 lire per quell’anno), in cui gli operai ricevevano in media 3 lire al mese. L’entità delle singole donazioni varia, nell’anno 1400, da un minimo di qualche denaro (la 240 parte della lira) a un massimo di 1.500 lire, corrisposte da un anonimo benefattore che chiede di esser annotato sui registri come un devoto della Beatissima Vergine Maria, che dona i suoi cospicui averi perché sotto il suo nome sia riedificata la chiesa della città. Tra le offerte spicca il contributo del principe Gian Galeazzo Visconti, che corrisponde mensilmente alla Fabbrica 700-800 lire, somma davvero esorbitante rapportata alle 4-5 lire versate in media dal popolo. E ciononostante, il denaro principesco rappresenta solo il 16% della somma raccolta quell’anno, mentre l’ammontare complessivo di elemosine e doni del popolo corrisponde all’84%; in particolare, le donazioni più povere, di valore compreso tra 1 denaro e 10 lire, ne costituiscono ben il 28%».

Vetrate dell'abside - Milano, duomo.

Vetrate dell’abside – Milano, duomo.

È dunque a una folla di gente comune che si deve l’edificazione del Duomo di Milano, uomini e donne ben lieti di dare tutto ciò che avevano per un’opera che, ben sapevano, mai i loro occhi avrebbero potuto contemplare ultimata. Uomini e donne ricchi soltanto di un’incrollabile fede, certi soltanto di dove fissare il proprio cuore. Come Caterina di Abbiateguazzone, una pauperrima, poverissima vecchietta che da tempo si adoperava per aiutare gli operai del cantiere, trasportando i materiali da costruzione nella gerla che portava sulle spalle. In una fredda mattina del novembre 1387 va a deporre come offerta, sull’altare, la sua unica, logora pelliccetta con cui si riparava dal gelo. Sopraggiunge di lì a poco un uomo, Manuele, che riconoscendo la pelliccia subito l’acquista, per poi deporgliela nuovamente sulle spalle. E l’amministrazione della Fabbrica, venuta a conoscenza del gesto di quella povera donna, la premia, dopo qualche mese, pagandole l’affitto della casupola in cui viveva.

da “L’Osservatore Romano”, 02/01/2008

Per saperne di più
Martina Saltamacchia, Milano: un popolo e il suo Duomo. Storie di uomini che costruirono la cattedrale, Milano, Marietti, 2007.

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Buongiorno a tutti! Sono una paleografa con la vocazione per la scrittura e il pallino del Medioevo e delle sue storie. Amo la lettura, la buona musica, la poesia, la filosofia, l'arte, il cinema: in breve, qualunque espressione del buono, del bello e del vero. Nel 2011 ho vinto l'VIII edizione del premio letterario "Il racconto nel cassetto" con il racconto "Il Tamburo delle Sirene", pubblicato dalla Centoautori in "Il Tamburo delle Sirene e altri racconti" (2012). Ho collaborato con il sito di Radio CRC e con il giornale on-line "Citizen Salerno" e ora collaboro con la rivista on-line "Rievocare". Faccio parte del gruppo di living history "Gens Langobardorum" e come rievocatrice indipendente promuovo la Scuola Medica Salernitana, gloria della mia città. Nel 2020 ho pubblicato con la Robin "Mulieres Salernitanae. Storie di donne e di cura".
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Una risposta a Vivevano in catapecchie, ma costruivano cattedrali

  1. Niky ha detto:

    Che magnifica storia vera!
    Grazie!

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