Più che “Aprile, dolce dormire” la frase che per me rappresenta meglio questo mese è “Aprile, dolce passeggiare”. Le ore di luce sono di più, l’aria si fa più tiepida, e finalmente la pioggia battente sembra concedere un po’ di tregua: tutto invita a uscire di casa, a godersi il cielo azzurro, a respirare l’aria di mare a pieni polmoni. E a godersi la propria città.
Almeno per me, questo è il tempo ideale per trascorrere mattinate o pomeriggi nel centro storico di Salerno, infilandomi negli stretti vicoli che fiancheggiano Via dei Mercanti, con uno sguardo alle sue bottegucce, il naso teso ai suoi odori forti e forse un po’ confusi, ma che hanno il sapore della mia Campania, una Campania chiassosa e sanguigna certamente, ma popolare, genuina.
La primavera, poi, è periodo di inizio delle manifestazioni all’aperto, come la Mostra della Minerva, che dal 12 al 14 aprile ha trasformato i viali alberati della Villa Comunale in un delizioso pastiche in verde: nei chioschetti si trova praticamente di tutto, piante rare (compresa la mia adorata peonia rosa), arredi da giardino, ma si scoprono anche gli utilizzi che si possono fare del mondo vegetale, dall’erboristeria ai tessuti fatti a mano.
E si scopre che le piante possono diventare anche colori: mirto, camomilla, lentisco, ginestra, noce diventano una tavolozza inattesa di colori per tingere lana, lino, cotone. Perfino la cipolla può dar vita al giallo oro smagliante che spicca sulla maglietta di Graziana Roscigno, una delle colonne portanti dell’associazione I Colori del Mediterraneo. È lei a mostrare cosa si possa ottenere dalle piante tipiche del suo Cilento: arcobaleni di gomitoli di lana e cotone, bijoux lavorati a uncinetto, berretti e colli di lana, perfino sandali dalla tomaia di canapa.
E anche, perché no, abiti storici!
In effetti ho fatto parte della mostra! Nel senso che sono stata una sorta di manichino semovente per mostrare cosa possono fare due associazioni giovani (nella specie I Colori del Mediterraneo e la Gens Langobardorum) quando si mettono in testa di lavorare insieme.
Ed ecco infine Sibilia, medica del IX secolo, nata a Bari ma di origine salernitana, tornata nella terra di origine della sua famiglia al seguito delle truppe saracene per perfezionarsi nella medicina, divenuta allieva dell’archiatra Gerolamo e, alla sua morte, essa stessa medico di palazzo.
Da brava medica, ha l’abbigliamento tipico delle donne del popolo bizantino-longobarde: sopra l’immancabile camicia intima, la tonacella dalle maniche lunghe e aderenti che possono essere facilmente rimboccate, e la dalmatica, la sopravveste dalle larghe maniche lunghe poco oltre il gomito, che non intralciano i movimenti; sulla testa, il savanion, il turbante tipicamente bizantino, il tipo di velo più comodo per una donna che lavora.
Abbigliamento pratico e comodo dunque, ma Sibilia è pur sempre l’archiatra, e da medico di corte non può far sfigurare i suoi mecenati! Sia la tonacella sia la dalmatica sono ornate da bordure e clavi ricamati con motivi geometrici (non fatevi ingannare dall’apparente semplicità dei motivi a rombi, ci ho impiegato più di un mese per ricamarli!), dagli orecchi pendono dei grossi circielli d’argento ornati da grani di pasta di vetro rossi e verdi, e dalla cintura un marsupio di seta ricamata. il classico regalo delle feste comandate.
Ma stasera Maestra Sibilia non è qui per salassi o pozioni. Una medica è sempre una signora, orgogliosa di aver appreso da nonne e zie le cosiddette “arti femminili”: ricamare, maneggiare lana e seta. Il che non solo stimola la creatività, ma è anche incredibilmente rilassante e, cosa non secondaria, permette di passare un pomeriggio in rosa tra belle persone, tra una chiacchiera qua e là e una tisana rilassante offerta dallo stand accanto.
Senza dimenticare il risultato di un pomeriggio di lavoro: un paio di babbucce di lana rosa formato baby! Non saranno proprio come quelle uscite dalle mani di mia nonna, ma non mi posso lamentare.
bei calzini somigliano a quelli che mi madre mi realizzo quand’ero piccolo