Uno scienziato sulla cattedra di Pietro: Silvestro II.

Gerberto d’Aurillac, papa Silvestro II – particolare di miniatura dall’evangeliario di Ottone III, 1000 ca. – Monaco, Bayerische Staatsbibliothek.

Ne ha fatta di strada Gerberto d’Aurillac: nel 999, l’ex arcivescovo di Reims e poi di Ravenna è posto sulla cattedra di Roma e dell’intera Cristianità dal suo grande amico l’imperatore Ottone III, e prende il nome di Silvestro II. Anni dopo, il cronachista Elgaldo di Fleury dirà con un gioco di parole che Gerberto è passato di R (Reims) in R (Ravenna), per diventare papa in R (Roma).
Niente male, per uno che da bambino andava a far pascolare le sue capre sui monti dell’Alvernia. Non conosciamo l’anno esatto della sua nascita (forse attorno al 945), ma lo ritroviamo ragazzino già oblato al monastero benedettino di St-Géraud di Aurillac: chissà, forse i suoi genitori, talmente poveri da non avere i mezzi per crescerlo, avranno deciso di affidarlo al monastero. Saggia decisione, perché, proprio lì, qualcuno avrebbe capito che quel pastorello di origine aquitana sapeva fare ben altro che allevare pecore: Raimondo di Lavaur, il magister. È lui a insegnargli la grammatica, e a istruirlo nella conoscenza della letteratura e della cultura classica. Sotto la sua guida, il giovane Gerberto rivela presto grandi potenzialità, che il monastero comincia a guardare con interesse.
Un bel giorno del 967, arriva al monastero, dal nord della Spagna, un pellegrino per visitare la tomba di San Geraldo, e non è di certo un pellegrino qualsiasi: il conte di Borrell, signore di Barcellona, Gerona, Urgel e Vich, ricchissimo e potente, vanta relazioni con il papa e l’imperatore, ma anche mecenate, uomo colto e raffinato che ha ottimi rapporti con i monasteri della Catalogna, importanti punti di contatto tra il Nord cristiano e il Sud musulmano. L’abate non si fa sfuggire l’occasione, e convince il conte a prendere con sé come segretario uno dei monaci più giovani perché studi in Spagna e porti in monastero le ultime novità delle scienze arabe: e quale soggetto può mai essere più adatto del promettente Gerberto?

Il computo sulle dita secondo lo schema di Beda il Venerabile – miniatura dal “De Numeris” di Rabano Mauro (X secolo)

Una volta in Spagna, Gerberto viene affidato ad Attone, vescovo di Vich, da cui apprende le arti del Quadrivio, aritmetica, geometria, astronomia e musica: le “scienze dei numeri”, delle quali il giovane monaco sente da subito il fascino. Nella scuola cattedrale della città e nella vicina abbazia di Ripoll, dove vengono prodotti preziosi manoscritti ma anche importati dal sud islamico, Gerberto studia la matematica e la filosofia dalle opere di Macrobio, Marziano Capella, Boezio e di Isidoro di Siviglia, la musica dagli innari e dagli antifonari catalani; molto probabilmente conosce Miro Bonfill, cugino del conte Borrell e vescovo di Gerona, e da lui apprende la lingua greca, mentre nella cattedrale di Barcellona avrà presumibilmente frequentato il chierico Sunifred Lobet, astronomo e autore di un trattato sull’astrolabio.
Al tempo di Gerberto, nella cultura europea, l’aritmetica e la geometria vengono viste soprattutto come ancelle dell’astronomia: eredità dei Romani, poco inclini alle discipline che non avessero una immediata valenza pratica. Per esempio, il termine calculatio indica lo studio del calendario e i due più grandi trattati di aritmetica dell’Alto Medioevo, quello di Beda il Venerabile e quello di Rabano Mauro, hanno come problema centrale la determinazione della data della Pasqua. Lo stesso studio dell’astronomia ha, nella cultura monastica, l’immediato compito di scandire le ore della giornata, fondamentale per fissare i momenti di preghiera e di lavoro previsti dalla regola di San Benedetto. Anche gli Arabi applicano l’aritmetica all’astronomia, adottano le tavole di calcolo formulate dall’astronomo greco Tolomeo e perfezionate da astronomi arabi come Al-Batenio, ma continuano anche la tradizione greca dell’applicazione dell’aritmetica alla geometria, con i teoremi geometrici e la trigonometria. Non solo, con gli Arabi nasce una scienza nuova, l’algebra, la scienza dei “numeri puri”, con i suoi propri teoremi da dimostrare. Dobbiamo dire che in questo sono enormemente facilitati dal fatto che hanno adottato il sistema di numerazione indiano a 9 cifre più lo 0, molto più comodo del sistema di numerazione romano. Gerberto, in Catalogna, si è trovato nel pieno di questo mondo in fermento, anche se probabilmente non ha mai messo piede nel califfato di Cordova (come vorrebbe il cronachista Ademaro di Chabannes). E i frutti non tarderanno a farsi vedere.

Mappa Mundi, miniatura dal Commentario al Somnium Scipionis di Macrobio – monastero di Saint-Martin de Tours, 820 ca. – Parigi, BnF.

Il vescovo Attone, insieme al conte di Borrell, si reca a Roma per chiedere a papa Giovanni XIII di innalzare la città di Vich a sede metropolitana, e porta con sé anche Gerberto. Il giovane monaco ha così la possibilità di farsi notare dal pontefice in persona, che, colpito dalla sua straordinaria cultura, soprattutto in matematica e musica, lo segnala all’imperatore Ottone I. Gerberto entra dunque nella corte imperiale, come precettore dell’erede al trono, il futuro Ottone II. Quella degli Ottoni è una corte molto attenta al sapere e agli scambi culturali: presso la corte sono ospitati intellettuali di primissimo livello, e altrettanti ne porta da Bisanzio la principessa Teofane, che l’erede al trono sposa il 14 aprile del 972.
È proprio in occasione di quelle nozze che Gerberto conosce il vescovo di Reims Geranno, che guida un ambasceria di Lotario, re di Francia, imparentato con l’imperatore. Geranno è maestro nell’arte dell’eloquenza, grande retore a capo di una scuola famosa in tutta Europa, il che solletica l’insaziabile sete di sapere di Gerberto. Così egli ottiene dall’imperatore il permesso di seguire in patria il vescovo di Reims.

Miniatura dal “De Numeris” di Rabano Mauro – X secolo

Proprio a Reims, verso il 973, Gerberto comincia la sua carriera di docente: il nuovo arcivescovo Adalberone  lo incarica di insegnare ai giovani chierici le sette arti liberali. E qui, Gerberto ha la possibilità di mettere in pratica la sua cultura a tutto campo, e nuovi metodi d’insegnamento. Gerberto è convinto che la cultura greca sia fondamentale per l’educazione, e che si debba offrire agli scolari una formazione completa, che comprenda le arti del Trivio e del Quadrivio, e che solo dopo si possa passare alla Teologia. Il suo motto sembra essere: “adattare l’insegnamento agli studenti, non gli studenti all’insegnamento”. Non si accontenta del metodo tradizionale della lettura dei libri di testo ai suoi allievi, vuole che facciano pratica: ad esempio, nelle lezioni di retorica introduce la presenza di un “sofista” per abituarli alle schermaglie della parola. Di più, Gerberto introduce un vero e proprio metodo sperimentale, non solo per l’astronomia anche per materie “astratte” come l’algebra: mette in mano l’abaco ai suoi studenti per le operazioni di calcolo, un abaco a numeri arabi che semplifica di molto le operazioni; per l’astronomia vuole che utilizzino l’astrolabio, quello strano strumento per calcolare la posizione dei corpi celesti che aveva conosciuto in Spagna; contribuisce così alla diffusione delle ultime novità della scienza araba in Europa. Per spiegare la musica usa il monocordo e la notazione musicale catalana. Costruisce apposta per i suoi studenti una sfera ruotante, per spiegare loro la posizione delle stelle fisse. Compone egli stesso i libri di testo, se necessario: a Gerberto sono attribuiti un Liber de astrolabio e un De divisione cum abaco, entrambi basati su fonti arabe, che faranno scuola per almeno due secoli. Gli è attribuito anche un de Mensura fistularum, un trattato sulle canne d’organo, di cui Gerberto era il massimo esperto del suo tempo.
Ha un rapporto diretto e molto familiare con i suoi discepoli: risponde alle loro domande, è disponibile per spiegazioni e chiarimenti, anche per lettera. L’epistolario di Gerberto, giunto fino a noi, è ricchissimo di queste lettere “didattiche”, e rivelano un maestro molto attento alle esigenze dei suoi allievi. A sottolinearlo è proprio uno di loro, Richero di Reims, che, quando più tardi scriverà la sua Historia Francorum, ricorderà con grande affetto il suo maestro.
Non tutti, però, sono di questo parere. Otrico di Magdeburgo, maestro anche lui, lancia a Gerberto il guanto di sfida: lo accusa di subordinare la fisica alla scienza matematica e di confondere le cose umane e le cose divine. La sfida ha luogo a Ravenna, nel 980, alla presenza dell’imperatore Ottone II e della sua corte; in quell’occasione Gerberto dà prova delle straordinarie capacità di retore acquisite a Reims. La vittoria su Otrico è completa, e gli varrà la nomina da parte dell’imperatore ad abate di Bobbio. Ci rimarrà solo per quattro anni: l’abbazia è al centro di intrighi a lui completamente estranei, e la morte dell’imperatore lo lascerà solo con un branco di “volpi”. Alla fine, disgustato, se ne tornerà a Reims, portando però con sé, da bibliofilo instancabile qual è, delle copie dei preziosissimi testi di cui la biblioteca di Bobbio è ben fornita.

Musici – miniatura dal “De Universo” di Rabano Mauro – Montecassino, X secolo.

La pace che Gerberto cerca, però, non durerà molto: è una personalità troppo importante per passare inosservato, la sua scuola di Reims è diventata un porto di mare verso cui affluiscono intellettuali da tutta Europa, la sua influenza è enorme negli equilibri politici. Da questo punto di vista, Gerberto è un fermo sostenitore della riforma partita dall’abbazia di Cluny, che afferma la necessità della vicinanza alla Santa Sede, la centralità della preghiera,  la valorizzazione della bellezza come segno di onore a Dio attraverso l’arte e la musica e al tempo stesso lotta senza quartiere ad abusi e irregolarità, non ultimo il concubinaggio e il matrimonio dei chierici.
Insieme al suo arcivescovo Adalberone, Gerberto ha sostenuto nel 987 l’ascesa al trono del nuovo re di Francia Ugo Capeto. Questi però, alla morte di Adalberone, nonostante gli avvertimenti di Gerberto, sceglie al suo posto Arnolfo, discendente dei Carolingi spodestati e suo accanito avversario; mossa politica, che vorrebbe ricucire lo strappo tra Carolingi e Capetingi, ma che si rivelerà alquanto ingenua. Arnolfo, infatti, appena ha in mano il pastorale, approfittando della sua posizione di capo della diocesi francese per eccellenza, di arcivescovo che incorona i re, si affretta a organizzare un colpo di stato per incoronare quello che egli considera il legittimo erede al trono, il carolingio Carlo di Lorena. Infuriato per il voltafaccia dell’arcivescovo, Ugo convoca nel 991 un concilio nell’abbazia di Saint-Basle, e lì depone Arnolfo e lo condanna al carcere insieme a Carlo di Lorena. Ma ora, Reims ha bisogno di un nuovo arcivescovo. E il prescelto è proprio Gerberto.
Il problema è che tutto ciò si è svolto senza che il papa Giovanni XV ne fosse informato: infrazione che il pontefice non è disposto a tollerare. Gerberto cerca di chiarire la propria posizione, ma è tutto inutile: Giovanni XV lo considera un usurpatore del vescovo legittimo Arnolfo e lo sospende dalla comunione. È l’inizio di un periodo molto difficile per Gerberto: anche il nuovo papa, Gregorio V, si rifiuta di riconoscere la legittimità della sua nomina a vescovo, l’abate Leone legato del pontefice e l’arcivescovo di Treviri lo accusano di ribellione a Roma. A complicare la situazione arriva anche la scomunica del nuovo re di Francia Roberto il Pio. Dalle lettere, noi riusciamo a percepire almeno in parte la desolazione di Gerberto, abbandonato da tutti, senza nessuno cui appoggiarsi, circondato di nemici da ogni parte. Eppure, pur di fronte a tanta ostinazione di ben due papi, Gerberto ribadisce la sua obbedienza a Roma fino in fondo: chiamato per l’ennesima volta a difendersi davanti ad un concilio riunito a Mouzon, accetta di non celebrare messa. In mezzo a tutto questo sfacelo, però, Gerberto ha ancora un amico: il nemmeno diciottenne imperatore Ottone III, cugino di papa Gregorio V, che lo vuole presso la sua corte di Magdeburgo come segretario personale; lì Gerberto potrà riprendere i suoi studi di astronomia in tutta tranquillità.

Il principio di rappresentazione dei numeri interi per mezzo degli “apices” sull’abaco perfezionato da Gerberto e dai suoi discepoli: su questo abaco, che si compone di 27 colonne unite a gruppi di 3, gli “apices” acquistano un valore di posizione variabile a seconda della colonna in cui sono disposti; in più, l’assenza di unità da una certa fila era rappresentata lasciando vuota la colonna corrispondente.

Sarà solo nel 998 che la situazione con il pontefice sarà chiarita, grazie alla mediazione del giovane imperatore. Gerberto viene reintegrato nei sacramenti, e nominato arcivescovo di Ravenna.
Un bel salto di qualità: Ravenna è la diocesi più grande in Italia, la seconda per importanza dopo Roma, con vasti territori e abbazie alle sue dipendenze. E Gerberto coglie al volo l’occasione rimboccandosi le maniche e varando un vasto programma di riforme, tra cui l’obbligo di studio per i chierici. Questa volta, a differenza del periodo di Bobbio ha come alleato in queste riforme nientedimeno che l’imperatore.
Nel marzo del 999, papa Gregorio V muore, e Ottone III rientra in tutta fretta a Roma per scegliere egli stesso il suo successore, anche per prevenire i giochi di potere della nobiltà romana. Gerberto viene così consacrato papa il 9 aprile, nella basilica costantiniana di San Pietro. Non a caso sceglie il nome di Silvestro II: il suo progetto vede papa e imperatore uniti per riformare il mondo cristiano, come Costantino, il primo imperatore cristiano, e Silvestro I.

Lamina di bronzo da astrolabio planisferico realizzato a Toledo per Ibrahim ibn Said al-Sahali, il cui nome e l’anno di fabbricazione (459 dall’Egira / 1067 d.C.) compaiono in un’iscrizione in caratteri arabi. – Madrid, Museo Arqueológico Nacional de España.

Il pontificato di Silvestro sarà breve, soltanto quattro anni, e gli darà il tempo di fare molto poco. Promuove le scienze e la musica, dona la sua imponente biblioteca personale al Laterano, si riconcilia con i suoi antichi avversari Arnolfo cui affida la diocesi di Reims e il legato Leone che nomina vescovo di Ravenna. Ma, da, scienziato e astronomo, guarda lontano, all’Ungheria e alla Polonia, terre di nuova evangelizzazione: anche grazie ai fitti scambi diplomatici con il papa, il pagano Stefano, duca d’Ungheria, capo di quei Magiari che avevano in passato seminato il terrore in Occidente, si fa battezzare, e viene consacrato re nel 1001; l’alleanza con la Polonia invece viene sancita da una reliquia del santo vescovo Adalberto di Praga portata solennemente in Laterano.
Nel 1002, però, l’imperatore Ottone III muore a soli ventidue anni, lasciando Silvestro ancora una volta solo contro tutti, in particolare in mezzo agli intrighi dell’aristocrazia romana che male ha digerito l’imposizione di un papa straniero.
Silvestro II morirà a sua volta il 12 maggio del 1003, stroncato da un malore che lo aveva colto pochi giorni prima mentre celebrava messa a Santa Croce in Gerusalemme.
A dispetto degli onori tributatigli subito dopo la sua morte, compreso un epitaffio che elogia la sua sapienza, ci sarà chi troverà il modo di effettuare una sorta di damnatio memoriae: in particolare, i cronachisti Ademaro di Chabannes e Guglielmo di Malmesbury daranno inizio a una tradizione leggendaria che vede Gerberto d’Aurillac mago e negromante, disposto ad un patto con una fata o addirittura con il diavolo in persona pur di ottenere la sapienza, e le chiavi di San Pietro. Una sorta di Faust ante litteram, insomma.
Per fortuna, grazie alla testimonianza dei suoi contemporanei, alle lettere che sono arrivate fino a noi, e ai trattati scientifici che con ragionevole probabilità possono essere a lui attribuiti, possediamo materiale sufficiente per rendere giustizia a una figura che può essere considerata a buon diritto una personalità della scienza di tutti i tempi.

Bibliografia:
Massimo Oldoni, Silvestro II, in “Enciclopedia dei papi”, Treccani 2000;
Pierre Riche, Gerbert ď Aurillac. Le pape de l’an mil, Paris, Fayard, 1987;
Glauco Maria Cantarella, Una sera dell’anno Mille. Scene di Medioevo, Garzianti, 2004;
Doctissima virgo. La sapienza di Gerberto, scienziato e papa, a cura di Costantino Sigismondi, If Press, 2011;
James Hannam, God’s Philosophers: How the Medieval World Laid the Foundations of Modern Science, Icon Books, 2009.
Orbe Novus: Astronomia e Studi Gerbertiani, a cura di Costantino Sigismondi, Roma, Universitalia, 2010;
“Gerbertus: International academic online publication on History of Medieval Science”, vol. 1 (2010).

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Buongiorno a tutti! Sono una paleografa con la vocazione per la scrittura e il pallino del Medioevo e delle sue storie. Amo la lettura, la buona musica, la poesia, la filosofia, l'arte, il cinema: in breve, qualunque espressione del buono, del bello e del vero. Nel 2011 ho vinto l'VIII edizione del premio letterario "Il racconto nel cassetto" con il racconto "Il Tamburo delle Sirene", pubblicato dalla Centoautori in "Il Tamburo delle Sirene e altri racconti" (2012). Ho collaborato con il sito di Radio CRC e con il giornale on-line "Citizen Salerno" e ora collaboro con la rivista on-line "Rievocare". Faccio parte del gruppo di living history "Gens Langobardorum" e come rievocatrice indipendente promuovo la Scuola Medica Salernitana, gloria della mia città. Nel 2020 ho pubblicato con la Robin "Mulieres Salernitanae. Storie di donne e di cura".
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