di Carlo Ossola
Il profilo della patrona d’Italia tracciato da André Vauchez mette in luce i tratti più irruenti del carattere della santa.

Andrea Vanni, Caterina da Siena e devota – affresco dalla Cappella delle Volte, 1375 c.a. – Siena, Basilica di S. Domenico.
A qualunque lato io mi volgo, vedo che ognuno li porta [al demonio] le chiavi del libero arbitrio con la perversa volontà; e secolari e religiosi e li chierici con superbia correno alle delizie […] del mondo, con molta immondizia e miseria, ma sopra tutte l’altre cose, che io vegga, che sia molto abominevole a Dio, si è delli fiori che sono piantati nel corpo mistico della santa Chiesa, che debbono essere fiori odoriferi, e la vita loro specchio di virtù, gustatori ed amatori dell’onore di Dio e della salute dell’anime, ed egli gittano puzza d’ogni miseria, ed amatori di loro medesimi raunando li difetti loro con esso gli altri, e singolarmente nella persecuzione che è fatta alla dolce Sposa di Cristo ed alla santità vostra. […] Mettete mano a levare la puzza de’ ministri della santa Chiesa; traetene i fiori puzzolenti, piantatevi i fiori odoriferi, uomini virtuosi che temino Dio.
Così santa Caterina s’indirizza a papa Gregorio XI in una delle tante lettere dettate contro la corruzione della Chiesa e perché il papa stesso e la Curia rientrino in Roma dalla “cattività” avignonese (come in effetti avvenne nel 1377); con accenti danteschi, spesso, se la «puzza de’ ministri della chiesa» è quella stessa che, nella propria invettiva, San Pietro addita e condanna a sommo del Paradiso:
Quelli ch’usurpa in terra il luogo mio,
il luogo mio, il luogo mio che vaca
ne la presenza del Figliuol di Dio,fatt’ha del cimitero mio cloaca
del sangue e de la puzza; onde ’l perverso
che cadde di qua sù, là giù si placa
(XXVII, 22-27).
Il saggio che André Vauchez, premio Balzan per la storia medievale nel 2013, consacra a santa Caterina ha una suggestiva forza storica, che emerge dalle stesse partizioni dei capitoli: Caterina a Roma (1347-1380) tra crociata e Riforma della Chiesa; come «divenire santa Caterina da Siena»; letture e immagini di santa Caterina nel Medioevo; come modellare il “corpo spirituale” di una «santa trasgressiva». I capitoli dunque sono netti e diretti come la scrittura di Caterina (virtù che la Patrona d’Italia non sembra sia riuscita a conservare nel suo popolo); scrittura sovente acuminata, tale la lettera al cardinal Pietro d’Ostia:
Io Catarina, serva e schiava de’ servi di Jesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi uomo virile e non timoroso, acciocché virilmente serviate alla sposa di Cristo, adoperando per onore di Dio spiritualmente e temporalmente, secondo che nel tempo d’oggi questa dolce sposa ha bisogno.
André Vauchez ricorda al riguardo che il suo primo biografo, Raimondo da Capua, «imbarazzato da un comportamento che poteva apparire pretenzioso o temerario da parte di una semplice laica, lo giustifica con l’argomento che, nella situazione d’abbandono in cui si trovava allora la Chiesa e la cristianità, Dio aveva scelto di dar voce a una donna incolta, vaso fragile ma colmo di virtù, per confondere gli uomini orgogliosi che disprezzavano la sua grazia». Raimondo da Capua stesso aveva sperimentato la forza dell’argomentare di Caterina, al quale appunto si rivolgeva la donna, in una lettera, con queste parole:
Io misera madre, con desiderio spasimato, ho desiderato di vedere i cuori e gli affetti vostri chiavellati in croce, uniti e legati con quello legame che legò ed innestò Dio nell’uomo e l’uomo in Dio. Così desidera l’anima mia di vedere i cuori, li affetti vostri innestati nel Verbo incarnato dolce Jesù.
E con pari forza, in una successiva lettera:
Con che si prova la purità e s’acquista? col contrario, cioè con la molestia dell’ immondizia: […] Sicché ogni cosa contraria si caccia per lo suo contrario: vedete che per la superbia s’acquista l’umilità, quando l’uomo si vede molestare da esso vizio di superbia, subito s’umilia, cognoscendo sé difettuoso, superbo, che se non avesse avuta quella molestia, non si sarebbe sì ben cognosciuto; […] Adunque vedete che non è da fuggire né dolersi nel tempo della tenebre, perocché della tenebre nasce la luce.
André Vauchez non si ritrae, da storico attento, davanti alle forzature bellicose che, di questa tensione interiore, il fascismo fece per la «santa degli Italiani»: sono pagine lucide, serrate, e che forse spiegano perché poi la storiografia si sia un poco mostrata refrattaria. Pure l’energia di Caterina, quel suo entrare direttamente nel cuore dell’argomento, quella “fretta di verità” rendono la sua prosa, di cruda evidenza, come scolpita nella carne stessa del tempo:
La vostra figliuola indegna Catarina, serva e schiava de’ servi di Jesù Cristo, si raccomanda con desiderio di vedervi bagnato ed affogato nel sangue del Figliuolo di Dio, il quale sangue ci farà parere ogni amaritudine dolce, ed ogni grande peso leggiero, e faravvi seguitare le vestigio di Cristo»
(epistola all’Abbate di sant’Antimo).
Ricorda, a giusto titolo, André Vauchez che questa concretezza riguarda il lessico e le tournures con le quali Caterina si rivolge alle autorità, se il papa stesso è «il Cristo della terra» e della terra sua dunque non può scordarsi e men che mai «Di quella Roma onde Cristo è romano» (Purg., XXXII, 102):
Su virilmente, padre, ch’io vi dico che non vi bisogna temere (Ad Rom, 8). Se non faceste quello che doveste fare, avreste bisogno di temere. Voi dovete venire [a Roma]: venite dunque, venite dolcemente senza veruno timore; e se veruno dimestico vi vuole impedire, dite a loro arditamente, come disse Cristo a s. Pietro, quando per tenerezza il voleva ritrarre che non andasse alla passione, Cristo si rivolse a lui dicendo, “va di po’ me, Satanas, tu mi se’ scandalo, cercando le cose che sono dagli uomini, e non quelle che sono da Dio; e non vogli tu che io compia la volontà del Padre mio” (Matt, 16)?.
Un libro vigoroso dunque che imita, nell’analisi storica, quello stile stesso, asciutto e tutto stretto al reale della vita, che Caterina aveva dispiegato – specialmente nelle lettere a Gregorio XI, impazienti di riforma, irritate dal troppo attendere:
Dicovi da parte di Cristo crocifisso: tre cose principali vi conviene adoperare con la potenzia vostra, cioè, che nel giardino della santa Chiesa voi no traggiate li fiori puzzolenti, pieni d’immondizia e di cupidità, enfiati di superbia, cioè li mali pastori e rettori che attossicano ed imputridiscono questo giardino. Oimè, governatore nostro, usate la vostra potenzia a divellere questi fiori; gittateli di fuori, che non abbino a governare, vogliate che egli studino a governare loro medesimi in santa e buona vita;
alla fine certificando, e quasi provocando:
Ma pare che la somma ed eterna bontà faccia fare per forza quello, che non è fatto per amore.
Caterina, virgo impatiens!
Da “Il Sole 24 Ore”, 24/04/2016.
Per saperne di più:
André Vauchez, Caterina da Siena: Una mistica trasgressiva, Bari, Laterza, 2016;
Alessandro Barbero, Come pensava una donna del Medioevo – Caterina da Siena;
Il Tempo e la Storia – Caterina da Siena, mistica e politica.