La bellezza che crolla e l’ “Ora, lege et labora”.

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Basilica di San Benedetto a Norcia.

Cosa si può dire davanti ad immagini come questa?
Niente di niente.
Un altro pezzo della nostra bellezza se n’è andato per sempre, insieme a tanti altri come la Basilica di San Salvatore ai Campi. Certo, si potrà sempre ricostruire, restaurare (ce lo auguriamo di cuore!!), ma non sarà mai più come prima.
E poi ci sono le vite persone, anch’esse crollate, cambiate per sempre: prima, un tetto sulla testa, terra sotto i piedi, una vita normale; adesso macerie, paura e incertezza.
E, di fronte a tutto questo sfacelo, la domanda è inevitabile: perché? Perché la bellezza che noi davamo per scontata ora ci sfugge dalle dita senza che possiamo far nulla? Perché ci tocca assistere impotenti alla furia della natura che ci fa crollare tutto addosso? Naturale corso delle cose? Divina indifferenza, o, ancora peggio, punizione per i mali perpetrati dall’umanità?
Forse le domande che dovremmo farci sono altre.
Molte volte, nel corso dei secoli, si è assistito a scene del genere: terremoti, inondazioni, eruzioni. Ed era tutto un rimboccarsi le maniche collettivo perché ciò che era stato distrutto non solo fosse ricostruito ma fosse più bello di prima. È anche così che la storia dell’arte è andata avanti.
La domanda è: noi oggi saremo capaci di fare altrettanto?
A guardare chiese che sembrano capannoni e palazzoni pieni di povertà ammassate come quelli nati nei dintorni di Napoli dopo il terremoto del 1980, non mi sembra proprio.
E allora? Cos’è che ci manca?

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San Salvatore ai Campi – Norcia.

Forse dovremmo partire dalla radice, da ciò che faceva nascere questa bellezza. Una radice che colui sulla cui casa natale sorgeva quel luogo conosceva molto bene: San Benedetto, che, alla metà del VI secolo, abbandonò un mondo spietato e in cui contavano solo le apparenze come la città di Roma, e scelse dapprima la solitudine di una grotta, poi a ricreare “la Città di Dio” tra le mura di un monastero. Un luogo di armonia, sacralità e cultura, certamente, con le sue proprie regole, ma non “un mondo a parte”: anzi, qualcosa che potesse proporsi come esempio per la realtà che lo circondava.
Ho scritto più volte che la situazione che ora stiamo vivendo, almeno in Europa, a mio parere somiglia molto al mondo tardoantico: da una parte uno Stato sclerotizzato in grado di fare null’altro se non imporre nuove tasse, dall’altra popolazioni nuove che premono ai suoi confini, allora dal Nord, ora dal Sud. In un simile frangente, direi che lo Stato come forma di governo, durato mille anni buoni, ha fatto il suo tempo, e già lo stiamo vedendo (implosione della finanza mondiale, movimenti indipendentisti vari dalla Scozia al Sud Italia): le nuove sfide impongono nuovi sforzi di inventiva della mente umana, e dunque una nuova forma di governo che sappia rispondervi. E quale punto di partenza migliore di Benedetto e della sua Città di Dio concretizzata? Cosa succederebbe se si fondassero dei monasteri, comunità autogestite giuridicamente fuori dai vari Stati europei, cui pian piano potrebbero aggregarsi comunità sempre più grandi e dar vita così ad una nuova civiltà?
Non si tratta di rinchiudersi in un mondo parallelo fingendo che quel che sta intorno non esista come gli Amish americani, ma di tornare alle origini, salvare il seme di tutto ciò che di buono questo mondo ci ha dato per ripiantarlo al momento opportuno; come hanno fatto, ad esempio, sempre negli Stati Uniti, tra gli anni ’80 e gli anni ’90, la comunità cattolica costruitasi attorno al monastero di Clear Creek e quella ortodossa di Eagle River, in Alaska. E così è nata quella che lo scrittore Rod Dreher chiama Benedict Option, “Opzione Benedetto”, ovvero comunità di base piccole e coese che possano rispondere meglio alle sfide esterne. E le tre parole d’ordine di queste comunità sono le stesse di Benedetto: ora, lege et labora – prega, leggi e lavora.

Fabrizio Diomedi, Crocifissione - Norcia, Monastero di San Benedetto.

Fabrizio Diomedi, Crocifissione, affresco del refettorio – Norcia, Monastero di San Benedetto.

In effetti è necessario porsi una domanda: com’è nata quella bellezza? Perché sono stati costruiti luoghi che hanno finito per diventare il punto di riferimento di un’intera comunità? Non certo per la smania di un architetto di far vedere quanto sia bravo, come accade spesso oggi. Alla base non c’era il costruttore, ma lo scopo: i costruttori non erano che artefici, al servizio del fine cui l’edificio era destinato, cioè mettere in contatto l’uomo con il Sacro.
Sì, proprio quel Sacro che il consumismo vorrebbe cacciare dalla porta del nostro mondo, ma che rientra dalla finestra in mille modi diversi. Non c’è niente da fare, l’uomo ha bisogno di Dio, come ha bisogno dell’aria per respirare, del pane per mangiare; negarlo serve solo a far crescere ancora di più il bisogno e a dargli forme che possono anche distruggerci (e il Daesh è solo uno degli esempi).
Alcuni sostengono che le costruzioni umane siano solo una bestemmia, e che l’unico luogo per mettersi in contatto con Dio sia la natura stessa; ma, se ci pensiamo bene, le due cose non si contraddicono a vicenda. Lo stesso Dio che si manifesta a Mosè in un roveto, nella più umile delle piante, e che parla al popolo d’Israele sulla montagna sacra del Sinai, sulla cui cima solo Mosè può metter piede, ordina ai suoi assistiti di costruire una tenda rivestita di porpora come santuario e un’arca ricoperta d’oro per contenere le Tavole della Legge. Questo significa utilizzare mezzi umani per dare gloria a Dio e riconoscere la sua grandezza, e di coltivare così una bellezza che fa bene anche a noi: Dio sa come siamo fatti.
Nel 2014, la comunità di benedettini americani che nel 2000 si era stabilita a Norcia, decide di affrescare nuovamente le pareti del monastero, e non chiamano un pittore supercontemporaneo “alla moda”, ma uno scrittore di icone: Fabrizio Diomedi, per giunta rievocatore nel gruppo Opificium. A sentirlo parlare del lavoro che ha portato avanti per due anni, affrescando il refettorio e la cucina, sembra che parli di un’esperienza mistica: è stato ospite dei monaci per i primi quattro mesi, immerso in un’atmosfera di preghiera, e questo gli ha fatto comprendere che ciò che era importante non era vedere l’opera finita, ma l’atto stesso del compierla, il tempo speso a costruirla pennellata dopo pennellata, ognuna della quale era una lode a Dio. E anche ora, che l’opera in questione potrebbe aver subito danni se non essere irrimediabilmente compromessa, sente di non aver sprecato un istante di quel tempo.

Affresco di scuola giottesca vandalizzato - chiostro del Tempio di S. Lorenzo, Vicenza.

Crocifissione di scuola giottesca vandalizzata – chiostro del Tempio di S. Lorenzo, Vicenza.

Quanto tempo invece ha sprecato l’autore di questo sfregio ad un affresco di scuola giottesca della prima metà del XIV secolo? Anche troppo, verrebbe da dire. L’importante per lui era solo affermare se stesso, a danno di un uomo che tanti secoli prima aveva dipinto quell’intonaco non per affermare se stesso ma l’Uomo in croce oggetto del suo dipinto.
E non è il solo, purtroppo: tutto intorno a noi ci insegna ad affermare noi stessi, nel lavoro come nella vita, spesso a scapito degli altri. E come stupirsi dunque se accadono episodi del genere o anche peggiori? Cosa può creare di bello una società in cui tutto ciò che conta è “farsi i fatti propri”? Che ruolo possono avere la bellezza e la cultura in tutto questo? Meno di zero.
Sembra che ultimamente tutti si lamentino dell’ignoranza diffusa, ma è come se ci fosse una volontà politica di creare ignoranza. Quanto spazio occupa la Storia dell’Arte nelle scuole? Fin dai tempi in cui io andavo al liceo, era considerata una delle materie “tappabuchi”, della quale si poteva anche fare a meno; ora si trascurano sempre più l’insegnamento della Storia e della Letteratura, del Latino e del Greco, in favore dei numeri e dei computer, perché “con la cultura non si mangia”, come disse un ministro che non citerò. Me lo sono sentito dire non so quante volte durante le rievocazioni: “Con queste sciocchezze perdete tempo, pensate a sopravvivere!”.
Il problema è che con queste cose si potrebbe sopravvivere benissimo, se chi sta in alto lo permettesse; e in questo senso sembra che lo Stato, invece di essere di sostegno, sia perfino d’impaccio. Quanti rievocatori conosco dalle cui mani escono cose meravigliose, che in altri tempi sarebbero state pagate a peso d’oro e che oggi sono considerate null’altro che “una perdita di tempo”! Perché non si educa alla bellezza, e al valore del lavoro: perché non si educa all’origine della bellezza. Preghiera, cultura e lavoro sono strettamente connessi, ed eliminare una di queste tre componenti inevitabilmente equivale a far franare gli altri due. E una volta franati anche gli Stati (perché franeranno) cosa rimarrà a sostenerci per permetterci di ricominciare?

Riproduzione del panno che cinge Gesù Bambino, da dipinto del Pinturicchio, a cura di Marta Cucchia.

Riproduzione del panno che cinge Gesù Bambino, da dipinto del Pinturicchio, a cura di Marta Cucchia.

Non posso non ricordare una frase, proprio all’inizio del capitolo 13 del Vangelo di Luca:

In quello stesso tempo si presentarono alcuni a riferirgli circa quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva mescolato con quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù rispose: “Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quei diciotto, sopra i quali rovinò la torre di Sìloe e li uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo”.

Non ci affanniamo a cercare colpevoli per quel che è accaduto, ma diamoci un’occhiatina allo specchio: se non ci convertiremo, se non cambieremo senso di marcia, la nostra bellezza morirà, e se essa muore, muore anche l’uomo. Stiamo già morendo, perché un’epoca della nostra storia sta finendo; ma sapremo rinascere e cominciare una nuova fase?
Sta solo a noi deciderlo.

Persone in preghiera davanti la basilica di San Benedetto distrutta dal forte terremoto, Norcia, 30 ottobre 2016.

Persone in preghiera davanti la basilica di San Benedetto distrutta dal forte terremoto, Norcia, 30 ottobre 2016.

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Informazioni su Mercuriade

Buongiorno a tutti! Sono una paleografa con la vocazione per la scrittura e il pallino del Medioevo e delle sue storie. Amo la lettura, la buona musica, la poesia, la filosofia, l'arte, il cinema: in breve, qualunque espressione del buono, del bello e del vero. Nel 2011 ho vinto l'VIII edizione del premio letterario "Il racconto nel cassetto" con il racconto "Il Tamburo delle Sirene", pubblicato dalla Centoautori in "Il Tamburo delle Sirene e altri racconti" (2012). Ho collaborato con il sito di Radio CRC e con il giornale on-line "Citizen Salerno" e ora collaboro con la rivista on-line "Rievocare". Faccio parte del gruppo di living history "Gens Langobardorum" e come rievocatrice indipendente promuovo la Scuola Medica Salernitana, gloria della mia città. Nel 2020 ho pubblicato con la Robin "Mulieres Salernitanae. Storie di donne e di cura".
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3 risposte a La bellezza che crolla e l’ “Ora, lege et labora”.

  1. Condivido pienamente le tue riflessioni. Siamo arrivati a tal punto che anche la natura si ribella. Ma saremo capaci di fermarci e ricominciare?

  2. marzia ha detto:

    Bell’apporto che ho dovuto evidenziare da me, Federica!

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