Probabilmente i Salernitani ricorderanno per un bel pezzo questa festa di San Matteo (21 settembre) del 2013: per la prima volta dal 2009, il vicolo Adelperga, nel millenario quartiere dei Barbuti, cuore della Salerno longobarda, non è più chiuso, e la luce del sole penetra attraverso la viuzza per troppo abituata al buio. Tolte le impalcature, Palazzo Fruscione, finalmente restaurato, spicca in tutta la bellezza dei suoi quattro piani nei quali si mescolano stili ed epoche diverse. Per festeggiare, il 20 e il 21 tutta l’area, compreso il complesso di San Pietro a Corte, proprio di fronte, sono rimasti aperti per l’intera giornata, fin quasi a mezzanotte.
Salernitani e turisti hanno potuto fare così un salto nel tempo attraverso secoli di ampliamenti, modifiche, rifacimenti: il restauro, coordinato dall’architetto Mario dell’Acqua e con la consulenza del prof. Paolo Peduto, docente di Archeologia Medievale all’Università di Salerno, ha fatto in modo di mettere in luce le tracce delle mille peripezie di Palazzo Fruscione, in modo che possano, come gli anelli di un albero, raccontare la sua storia.
Una storia più antica ancora dello stesso palazzo: il mosaico romano bianco e nero, così simile a quelli di Ercolano, rivela che questo luogo è frequentato già almeno dalla fine del I secolo d.C. Qui si trova infatti un ambiente delle terme che comprendono anche l’attuale San Pietro a Corte, e che rimangono in funzione per un tempo piuttosto lungo. Verso la metà del V secolo, le terme vengono abbandonate, e i suoi locali sono trasformati in una chiesa con il suo piccolo cimitero. Poi, nella seconda metà dell’VIII secolo, Arechi, il “principe del popolo dei Longobardi”, decide di utilizzare le rovine degli antichi edifici per costruirvi il suo magnifico palazzo affacciato sul mare: il cimitero diviene così un giardino, del quale si gode la vista dal loggiato dell’aula palatina sovrastante.
L’edificio che diverrà Palazzo Fruscione sarà costruito solo nel XII secolo, quando il “Sacro palazzo” longobardo viene abbandonato dai nuovi sovrani normanni in favore del più strategico Castel Terracena, e tutta la zona circostante viene lottizzata e trasformata in terreni edificabili; nasce così un intero quartiere, che i documenti chiamano Corte Dominica, in memoria dell’antico palazzo. Le tracce di questo primo edificio si scorgono ancora qua e là, nelle monofore e nelle tarsie che fanno capolino sotto le modifiche successive: un palazzo di due piani, la cui facciata in tufo policromo, che disegna motivi a scacchiera, ammicca all’Oriente. È così che l’aristocrazia normanna ama vivere, in palazzi in stile orientale, indossando le costosissime sete di Costantinopoli e sfoggiando sulle sue tavole cibi esotici in stoviglie di ceramica invetriata importate dalla Sicilia islamica. L’analisi archeologica della “spazzatura” riemersa dagli scavi ci svela tracce di uno stile di vita veramente da alta società: ossi di maiali e di ovini, un piatto proveniente dalla Grecia, una lucerna di ceramica invetriata verde brillante di importazione siciliana.

Facciata orientale del palazzo – portali e bifore di XIII sec. – Loggia con archi intrecciati di XIV sec.
Tra il Duecento e il Trecento, il palazzo vive il periodo del suo massimo splendore. Il quartiere della Corte Dominica è divenuto ormai il cuore della città vecchia, per esso passa la Platea Maior, la via principale che va verso la Drapparia, ospita le dimore delle famiglie più potenti e in vista di Salerno. Verso la metà del Duecento l’intero quartiere subisce un importante intervento di ristrutturazione generale, forse in seguito a un terremoto. Anche la facciata del palazzo cambia volto, si aprono bifore con splendide decorazioni “a ventaglio”, e tre portali retti da colonnine finemente scolpite. All’inizio del XIV secolo verrà addirittura aggiunto un loggiato ad archi intrecciati: un tipo di decorazione di grande raffinatezza, e che ritroviamo non solo in tutto il Sud Italia, da Ravello a Palermo, ma anche riprodotto nelle miniature dei manoscritti come il Liber ad Honorem Augusti di Pietro da Eboli.

Il cancelliere Corrado riceve i tributi dalle provincie – miniatura dal Liber ad Honorem Augusti di Pietro da Eboli – Italia meridionale, fine XII / inizio XIII sec.
Per avere la prima esplicita menzione scritta di questo palazzo, però, dobbiamo arrivare all’Età Moderna: una serie di contratti tra il Cinquecento e il Seicento descrivono un immobile composto di appartamenti e stalle che passa di mano in mano e di cui diverse parti vengono date in affitto. Già da un documento del 1575, però, sappiamo che all’interno dell’edificio vi è anche una “casa di alloggiamento”, cioè una sorta di ospizio, di proprietà della cattedrale: ma non dobbiamo immaginarci chissà quale struttura, l’ospizio occupa probabilmente solo una minuscola parte del palazzo, tanto che non può offrire se non quattro letti. Queste strutture di carità appartengono di solito a privati, a un monastero o addirittura alla Cattedrale. Possiamo avere un’esempio di come funzionassero attraverso i documenti che riguardano un’altra casa di alloggiamento, a pochi passi da Palazzo Fruscione, e dedicata a Sant’Antonio Abate nella quale si dà ospitalità a “li passaggieri et li pizzienti”. Queste strutture sono affidate spesso alla gestione di singole persone, e sono soprattutto le donne a farsene carico: ad esempio, nel 1695 è nominata una “ospedaliera” che procura tutto quel che è necessario per far funzionare l’ospizio. Nonostante tutto, però, con il passare del tempo, le cose si fanno sempre più difficili, tanto che, nel 1785, l’Ospizio dei Pellegrini o dei Poveri vicino a San Pietro a Corte è ridotto talmente male che a malapena può offrire un pagliericcio. In questo periodo, Palazzo Fruscione viene allargato e vi viene aggiunto un terzo piano. Oggi possiamo ancora vedere, al pianterreno, quel che resta delle stalle, con gli anelli ai quali venivano legati i cavalli.
Nell’Ottocento, per garantire la stabilità dell’edificio viene aggiunto un quarto piano, che i restauri hanno eliminato. Gli ultimi proprietari sono i membri della famiglia Fruscione, da cui, nel 1967, il Comune espropria il Palazzo. Salendo al piano nobile, saltano subito agli occhi le ultime tracce della sua vita di residenza di lusso, le mondanature dipinte ottocentesche.
E ora il palazzo cambierà di nuovo destinazione: in parte ospiterà la Casa della Poesia, giusto omaggio alla patria di Alfonso Gatto. Alcuni sperano, però, che ci sia spazio anche per l’antiquarium, in modo che la storia di Palazzo Fruscione possa essere raccontata non solo attraverso le sue mura, ma anche attraverso secoli di oggetti di vita quotidiana in esso ritrovati.
Articolo pubblicato su – Citizen Salerno.
Bibliografia:
Paolo Peduto, Maria Perone, Storia illustrata di Salerno, Pisa, Pacini Editore, 2010;
Arcangelo Amarotta, Salerno romana e medievale: dinamica di un insediamento, Salerno, Pietro Laveglia, 1989;
Angela Corolla, La mensa dei nobili, in “Dopo lo tzunami, Salerno antica, catalogo della mostra Salerno 18 novembre 2011-28 febbraio 2012” a cura di Adele Campanelli, Napoli, Arte’m 2011, pp. 300-303;
Pasquale Natella, Da campo al Campo. Politica e amministrazione in Salerno medioevale e moderna, in “Campo”, n. 9/10 (gennaio-giugno 1982), pp. 113-120;
Id., I più antichi ospedali di Salerno, in “Le civiltà e la medicina”, Salerno, Editrice Gaia, 2010.