Per quanto strano possa sembrare, non è affatto un assurdo accostare le parole “dietologia” e “Medioevo”. In realtà il termine “dietologia”, o meglio “dietetica“, risale a molto tempo prima, al mondo classico, e aveva un significato più ampio di quello di “scienza dell’alimentazione”: infatti deriva dal greco diaita, “modo di vivere”, ed è in pratica l’arte di conservare la salute con uno stile di vita sano. Il che vuol dire toccare molte altre cose: l’igiene, il sonno, la qualità del luogo e del clima, la pratica di sport o di danza, il sesso o la caccia. La dietetica è dunque una delle tre branche della medicina medievale, secondo lo schema ereditato da Ippocrate, insieme alla farmacologia, l’arte di ripristinare la salute con i semplici e i composti, e la chirurgia, l’arte di ripristinare la salute con l’opera delle mani.
La dietetica era stata ampiamente sviluppata nell’Antichità soprattutto da Ippocrate, Celso, Dioscoride e Galeno; e, contrariamente a quanto si crede di solito, nell’Alto Medioevo queste conoscenze non vanno perdute, continuano ad essere trasmessi sia attraverso la copia dei manoscritti nei monasteri sia attraverso i grandi medici bizantini come Ezio di Amida, Alessandro di Tralles e Paolo di Egina. La stessa Regola di San Benedetto, se ci pensiamo bene, si preoccupa di dare precetti per una vita equilibrata e nel segno della moderazione; e dunque non ci sorprende se i monaci vivessero molto più a lungo rispetto anche all’aristocrazia.
Abbiamo almeno due trattati di dietetica scritti nell’Alto Medioevo: l’epistola De observatione ciborum scritta da Antimo, un medico bizantino di VI secolo divenuto diplomatico alla corte di Teodorico, e il Particulares Diete del medico Costantino l’Africano, uno dei primi maestri a noi noti della Scuola Medica Salernitana, che visse nella seconda metà dell’XI secolo. E alla stessa epoca appartiene forse la prima versione del Regimen Sanitatis Salernitanum, un’opera di dietetica in versi sul modello dei Tacuina Sanitatis di origine araba; e infine, anche se non appartiene alla nostra epoca di riferimento, citiamo l’anonimo trattatello De Flore dietarum, di XII secolo. È infatti alla Scuola Medica Salernitana che dobbiamo l’identificazione della dietetica soprattutto con l’arte del mangiar bene, con l’insistenza anzitutto sulla moderazione, sia nel bere che nel mangiare.
La dietetica medievale ha ereditato dall’Antichità un sistema quaternario formato da due qualità attive, il caldo e il freddo, e da due qualità passive, il secco e l’umido. La combinazione di queste qualità dà origine ai quattro elementi di cui è composto tutto il creato: il fuoco, caldo e secco; l’aria, calda e umida; l’acqua, fredda e umida; la terra, fredda e secca. Questi 4 elementi danno origine ad esempio ai 4 regni della natura (minerale, vegetale, animale e umano), alle 4 stagioni, alle 4 direzioni, e infine ai 4 umori che compongono il corpo umano: la bile gialla, calda e secca, la cui prevalenza dà il temperamento collerico della persona; il sangue, caldo e umido, la cui prevalenza dà il temperamento sanguigno; la flemma, fredda e umida, la cui prevalenza dà il temperamento flemmatico; e la bile nera, fredda e secca, la cui prevalenza dà il temperamento melanconico.
Il loro equilibrio assicura la salute; di conseguenza, essendo la malattia squilibrio di questi umori, il medico deve prescrivere al malato una cura, ma anche una dieta che cerchi di correggere l’elemento in eccesso con l’elemento opposto. Ad esempio, una malattia legata all’eccesso di flemma, come le malattie polmonari, vuole una dieta fatta da cibi caldi e secchi.
Ma attenzione: la qualifica di “caldo” o di “freddo” qui non ha niente a che vedere con il termometro; è semplicemente come vengono percepiti dai nostri sensi. Ad esempio: se mangiamo il pepe, brucia, come il fuoco; mentre la zucca è rinfrescante, come l’acqua.
Questo sistema poi deve tener conto dell’età del paziente, del sesso, della stagione, dell’ambiente in cui vive. Ad esempio: la donna è più fredda e umida dell’uomo, gli anziani sono più freddi e secchi dei giovani, al Sud si è più caldi che al Nord; l’inverno è freddo e umido e l’estate è calda e secca. Vuol dire che ogni cosa che si mangia dev’essere compatibile con la persona che mangia, e il luogo e il tempo in cui si mangia: è preferibile, ad esempio, che un melanconico eviti di condire il cibo con l’aceto e di mangiare troppo spesso la carne di gru; guai a prescrivere troppa cipolla a un collerico, soprattutto d’estate, ma è ottima per i flemmatici.
Una precisazione importante: tutto questo non c’entra niente con proteine, grassi, ecc, perché non sono ancora stati scoperti. Gli alimenti sono classificati a seconda della loro appartenenza ad uno dei quattro elementi. Quello ritenuto più nobile è il fuoco, cui appartengono prima di tutto le spezie; poi viene l’aria, e cioè gli uccelli, poi l’acqua, con il pesce, e solo in ultimo la terra, in cui rientra la carne di animali quadrupedi e le verdure. E più si scende nella scala, meno nobile è l’alimento.
E a questo punto bisogna sfatare un mito: non è vero che le spezie venissero apprezzate perché servissero a mascherare il sapore della carne conservata troppo a lungo sotto sale. Se diamo uno sguardo al trattato di Costantino l’Africano, vediamo che le spezie vengono messe in molte preparazioni, perfino in una banalissima zuppa di lenticchie. Questo perché, essendo legate all’elemento del fuoco, sono le sostanze più raffinate e le più adatte a conservare la salute; aggiungere spezie ad una pietanza, vuol dire renderla più calda e secca, più sana e facile da assimilare. In più vengono importate, con costi enormi, dall’India, terre che s’immagina vicine addirittura al Giardino dell’Eden, dunque sono per così dire “un assaggio di Paradiso”. Non ci meraviglia dunque che costino un occhio della testa.
Poi ci sono le sfumature: una sostanza può essere calda o fredda, secca o umida al primo, secondo terzo o quarto grado. Ad esempio, i polli e le oche sono caldi e umidi in quarto grado perché vivono a terra, dunque hanno meno valore della gru o delle anatre, che a loro volta ne hanno di meno dei beccafichi perché sono “uccelli acquatici”, dunque non in piena affinità con l’elemento “aria”. Oppure, altro esempio, l’anguilla è fredda e umida solo al quarto grado perché vive sul fondo, dunque non pienamente integrata nell’elemento acqua come la trota.
Come abbiamo detto prima, la dieta è importantissima sia per mantenersi sani, sia in caso di malattia; non solo, può costituire essa stessa una medicina, secondo il dettame di Ippocrate “Fa che il cibo sia la tua medicina e la medicina sia il tuo cibo.” Il Regimen Sanitatis è pieno di questi cenni: ad esempio, la cipolla combatte la calvizie, i porri stimolano la fertilità nella donna, il pepe nero è ottimo per la tosse e le coliche, l’aglio, la ruta e il rafano sono ottimi contro i veleni. Antimo, dal canto suo, garantisce che mangiare fichi freschi è ottimo per combattere il catarro; per chi ha la dissenteria, niente è meglio di una buona polenta d’orzo cotto nel latte di capra: mangiata calda, attenzione, non fredda, e non più di un cucchiaio a digiuno, ed è meglio che poi il paziente non mangi più niente fino a quando non l’avrà digerito completamente.
Da cenni come questi si capisce che alla digestione viene assegnata un’importanza fondamentale: la digestione è vista come una lenta cottura interna del cibo. E, dato che la natura dell’uomo tende ad essere sanguigna, cioè calda e umida, i cibi di natura fredda vanno sottoposti ad una preparazione preventiva (fritti, bolliti, ecc.), e comunque è sempre buona norma accompagnare i cibi freddi con qualcosa di caldo. Ad esempio, il solito Antimo ci informa che è pericoloso mangiare la zucca cruda, soprattutto per i malati, perché è di natura fredda: la si deve lessare e condirla con olio e sale. Lo stesso dicasi per la cicoria, e, se proprio la si vuole mangiare cruda, la si deve lasciar scaldare al sole per un giorno intero; le carni più fredde come la lepre vanno sempre cucinate con le spezie, appartenenti all’elemento del fuoco, proprio per renderla più digeribile. Così come il latte non si deve bere mai freddo, e meglio se ci si mescola un po’ di miele, vino o sidro. A proposito del latte, e del formaggio, la Scuola Medica Salernitana ha operato una grossa rivalutazione di questi due alimenti che di solito sono guardati con un po’ di sospetto.
Questa concezione della digestione spiega anche perché l’ordine delle portate nei pranzi romani e medievali sia così diverso da quello cui siamo abituati.
Se assistessimo ad un gran pranzo alla corte di Benevento o di Salerno, saremmo stupiti di veder servire la frutta non alla fine ma all’inizio del pranzo, come antipasto! I medici lo consigliano, sia perché l’acidità della frutta “apre lo stomaco” sia perché, essendo roba fredda, si ha tutto il tempo di digerirla; questo “antipasto” va accompagnato dal vino bianco, più acido del rosso.
Il grosso del pranzo è costituito comunque da portate che comprendono minestre, e arrosti resi più caldi e secchi da salse speziatissime e dal sapore forte, come il garum romano, che il nobile longobardo Vinidario, autore di un trattato di cucina, nomina ancora nell’VIII secolo.
Chiude il pranzo vero e proprio una portata fatta di frutta fresca, come mele o pere, o secca come mandorle, noci o nocciole, accompagnata dal formaggio stagionato. Perché? Perché il loro potere astringente serve a fermare lo stomaco.
Infine, il dessert, composto per lo più da frutta cotta, come mele cotogne cotte sotto la cenere e servite con il miele, pesche cotte nel vino, o anche focacce di fichi secchi e uva passa, o noci confette, accompagnato da vino caldo e profumato di spezie “digestive” come il finocchio, il coriandolo o l’anice. Il tutto al fine di cuocere per l’ennesima volta l’intero pranzo e dare anche un alito gradevole.
Ora, la nostra mentalità scientifica può sorridere di questo sistema, ma non possiamo non notare l’insistenza di Antimo e della Scuola Medica Salernitana sull’importanza della digestione e sulla necessità di variare l’alimentazione, includendo frutta, verdura, legumi, olive e olio d’oliva, pesce, cereali e vino rosso, tutti prodotti tipici del Mediterraneo. Dunque forse possiamo vederci quasi un primo modello della dieta mediterranea, che, secondo i moderni dietologi, previene le malattie cardiovascolari, il cancro, alcune malattie psichiatriche, e aumenta il benessere e la speranza di vita; così come la ricerca ha confermato che il consumo moderato di vino e di noci previene le malattie cardiovascolari, così come l’uso di aglio, cipolla, erbe e spezie accresce il valore nutrizionale dei cibi e previene le malattie cardiovascolari, oltre a stimolare il cervello.
Dunque questi precetti, tutto sommato, rimangono ancora validissimi, specialmente in un tempo come il nostro, dove, almeno in Occidente, l’obesità e il sovrappeso stanno diventando una vera e propria pandemia.
Bibliografia:
Massimo Montanari, L’alimentazione contadina nell’Alto Medioevo, Napoli, Liguori, 1979;
Paul Freedman, Il gusto delle spezie nel Medioevo, Bologna, Il Mulino, 2009;
Piero Cantalupo, Un trattatello medioevale salernitano sull’alimentazione: il de flore dietarum, in “Quaderno di Annali Cilentani”, n. 2 (1992);
Giovanna Motta, Le ricette medievali del medico Antimo tra Bisanzio, Ravenna e Metz, Ravenna, Edizioni del Girasole, 2004;
Nicolas Fréméaux, Alimentation et Diététique au Moyen Age, Stage au Université de Reims, 26 gennaio 2005;
Maurizio Bifulco, Magda Marasco, Simona Pisanti, Dietary Recommendations in the Medieval Medical School of Salerno. A Lesson from the Past, in “American Journal of Preventive Medicine”, n. 35 (6), 2008, pp. 602-603.
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