Virgilio veniva da lontano, dal nord forse, dal cielo certamente; egli era giovane, bello, alto nella persona, eretto nel busto, ma camminava con la testa curva, e mormorando certe sue frasi, in un linguaggio strano che niuno poteva comprendere. (…) Onde fu detto Mago e molti furono i miracoli della sua magia. In allora Parthenope era molestata da una grande quantità di mosche, mosche che si moltiplicavano in così grande numero e davano tanto fastidio, da farne fuggire i tranquilli e felici abitatori. Virgilio, per rimediare a così grave sconcio, fece fare una mosca d’oro, qualmente prescrisse – e dopo fatta, le insufflò, con parole, la vita: la quale mosca d’oro se ne andava volando, di qui e di là, ed ogni mosca vera che incontrava, faceva morire. (…) Quando un morbo fierissimo invase la razza dei cavalli, Virgilio fece fondere un grande cavallo di bronzo, gli trasfuse il suo magico potere e ogni cavallo condotto a fare tre giri, intorno a quello di bronzo, era immancabilmente guarito (…). Certi pescatori della spiaggia napoletana e propriamente quelli che dimoravano sulla strada, chiamata in seguito Porta di Massa, andarono da Virgilio, lagnandosi della scarsa pesca che vi facevano e chiedendo a lui un miracolo. Virgilio li volle contentare e in una grossa pietra fece scolpire un piccolo pesce, disse le sue incantagioni e piantata la pietra in un punto, il mare fruttificò mai sempre di pesci innumerevoli. Virgilio fece mettere sulle porte di Parthenope, verso le vie della Campania, due teste augurali ed incantate, una che rideva e l’altra che piangeva: onde colui che capitava a passare sotto la porta dove la testa rideva, ne traeva buon augurio per i suoi affari che sempre riuscivano a bene ed il contrario, a colui che passava sotto la testa piangente. Fu Virgilio che in poche notti fece eseguire da esseri sovrannaturali la grotta di Pozzuoli, per facilitare il viaggio agli abitanti di quei villaggi che venivano in città; (…) fu Virgilio che, di notte incantò le acque sorgive della spiaggia Platamonia e della spiaggia di Pozzuoli, dando loro singolare potenza per guarire ogni specie di malattia (…). La cronaca soggiunge che Virgilio Mago fu amato, rispettato, idolatrato quasi come un Dio, poiché giammai rivolse la sua magia a scopo malvagio, sibbene sempre a vantaggio della città e dell’uomo.
Matilde Serao, “Leggende napoletane”.
Questa è la sostanza, raccontata dalla bella penna della scrittrice napoletana Matilde Serao, della Leggenda di Virgilio Mago, che fa del poeta latino Virgilio, sepolto a Napoli, il “nume tutelare” della città.
Ma la domanda è: da dove viene? Come andare a ripescarne le tracce in una città come Napoli, da sempre vivaio del leggendario e del fantastico?
Per prima cosa, andiamo a verificare le fonti scritte. E’ curioso che i primi autori a parlarne, nella seconda metà del XII secolo, non siano nemmeno italiani: si tratta del chierico inglese Giovanni di Salisbury e di Corrado di Querfurt, cancelliere dell’imperatore Enrico VI. Essi, però, menzionano soltanto le opere meravigliose che Virgilio avrebbe lasciato a Napoli (la mosca d’oro, il cavallo di bronzo, ecc.), ma non le terme di Pozzuoli. Questo particolare lo troveremo solo all’inizio del XIII secolo, nella Glossa Ordinaria, un commento agli Atti degli Apostoli che lo cita per arricchire il racconto dello sbarco di San Paolo a Pozzuoli. E aggiunge anche il particolare “scandalistico”: Virgilio avrebbe corredato le “sue” terme di Pozzuoli con epigrafi in marmo che indicavano le qualità terapeutiche di ciascuna fonte e quali malattie vi si potevano curare, ma queste sarebbero state sfregiate dai medici salernitani timorosi di perdere i loro guadagni. Il chierico inglese Gervasio di Tilbury, nell’opera Otia Imperialia dedicata allo sconfitto “antimperatore” Ottone di Brunswick, raffina la leggenda raccontando la rocambolesca spedizione notturna degli invidiosi medici salernitani per rompere i tituli a colpi di mazza.
Lo storico dell’Ottocento Domenico Comparetti, nella sua opera Virgilio nel Medioevo sosteneva che quella di Virgilio Mago fosse una leggenda popolare: l’origine si perderebbe nell’Antichità, forse nella tomba stessa di Virgilio, e si sarebbe diffusa sempre più, fino a che, nel XII secolo, i letterati non l’avrebbero messa per iscritto.
Nella sua introduzione all’edizione dell’opera di Comparetti del 1937, però, il filologo Giorgio Pasquali insinua qualche dubbio: strana leggenda popolare, quella che non lascia tracce se non negli scritti degli intellettuali stranieri! L’unica traccia presente a Napoli è quella dell’attuale nome dell’ antico Castello di San Salvatore, Castel dell’Ovo, così chiamato per l’uovo che Virgilio vi avrebbe posto dentro, garanzia dell’inviolabilità della citta: questo termine, però, non compare prima dell’età angioina, e potrebbe essere benissimo un “nome d’importazione”, calato a Napoli insieme con gli intellettuali francesi al seguito di Carlo d’Angiò.
Una pista interessante ce la dà proprio la storia delle terme di Pozzuoli e dei medici salernitani “vandali”. Alcuni studiosi hanno tentato di spiegarlo come traccia di una spietata concorrenza tra medici napoletani e medici salernitani, altri vi hanno visto la critica di un atteggiamento polemico della Scuola Medica Salernitana nei confronti dei bagni. Ora, a un’occhiata un tantino più approfondita, nessuna di queste due spiegazioni regge. Anzitutto, in nessuno dei testi dei maestri della Scuola Medica Salernitana c’è traccia di una qualche “avversione” per i bagni; semplicemente, i maestri salernitani non si fidano ad occhi chiusi dei bagni come metodo migliore per conservare la salute, e mettono invece l’accento sull’importanza di una dieta equilibrata. In secondo luogo, il paragone tra Napoli e Salerno non sussiste per niente, dato il livello incomparabilmente superiore della Scuola Medica Salernitana, i cui medici, già dal IX secolo, erano richiesti fino in Oltralpe; anche l’università che Federico II aprì a Napoli nel XIII secolo era stata concepita anzitutto per gli studi giuridici, e non entrava granché in competizione le scuole di Salerno, che lo stesso Imperatore aveva reso tappa obbligatoria per chiunque nel regno volesse fregiarsi del titolo di medico. Ne è la prova, nello stesso periodo, la figura eclettica di Pietro da Eboli, intellettuale della corte sveva, che si definisce come allievo di Ursone, maestro di medicina non appartenente alla Scuola Medica Salernitana, ma che elogia più volte la dottrina dietetica salernitana nella sua opera De Balneis Puteolaneis, e addirittura nel suo testamento lascia un mulino in eredità alla diocesi di Salerno. Ebbene, in nessuna delle sue opere c’è la minima traccia della leggenda di Virgilio Mago. Eppure, Pietro da Eboli a Napoli sicuramente era di casa. Come mai?
In realtà, la risposta a questa domanda va cercata altrove, nell’ambiente da cui proviene Gervasio di Tilbury: le scuole di medicina della Francia, che Gervasio, da buon docente universitario, doveva conoscere molto bene. Sono loro (quella di Montpellier in testa) le vere rivali della Scuola Medica Salernitana, nonché accanite sostenitrici dei bagni come panacea per tutti i mali. E, soprattutto, sono loro che mal sopportano la concorrenza dei medici salernitani al capezzale dei potenti d’Oltralpe. Nelle cronache francesi, come nel racconto di Gervasio, i medici di Salerno sono presentati come pronti a tutto pur di rimpinguare la borsa, anche a giocare sporco (per esempio, col veleno).
Quella di Virgilio Mago è dunque una leggenda letteraria, elaborata dai chierici del Nord Europa, ma in un luogo abbastanza vicino a Napoli da poterne conoscere la topografia. E allora, ecco ancora una volta Salerno: centro di eccellenza per gli studi in medicina, attirava aspiranti medici da ogni parte d’Europa. Niente di più facile che la leggenda fosse stata elaborata proprio a Salerno da questi “studenti fuori sede”, mescolando le suggestioni dell’Antichità percepibili dalla vicina Napoli ad alcuni elementi folkloristici del posto.
In effetti, esiste nel folklore salernitano una figura con caratteristiche simili a quelle di Virgilio Mago. Si tratta Pietro Barliario, personaggio forse esistito davvero nel XII secolo se, nel Seicento, il canonico Antonio Mazza dichiara di aver visto la sua tomba nella chiesa di San Benedetto a Salerno e trascrive l’epigrafe che lo definisce magister. Era forse semplicemente un maestro di medicina, ma la leggenda popolare ne ha sfumato i contorni e ne ha fatto il “genio creatore” della città. E questa volta la toponomastica di Salerno ne conserva il ricordo, come nel caso del Ponte dei Diavoli, da sempre nome popolare dell’acquedotto normanno: la leggenda dice che Pietro Barliario avrebbe trovato il modo di assoggettare i demoni alla sua volontà e li avrebbe usati come muratori per costruire il ponte in una sola notte!
Nulla impedisce che i chierici inglesi, francesi e tedeschi che si recavano a studiare medicina a Salerno siano rimasti affascinati da questi racconti, e abbiano deciso di ripulirli facendone protagonista il poeta latino più studiato e amato la cui tomba era a soli 57 Km, perché diventasse degno ornamento per le opere da riportare in patria.
Bibliografia
Domenico Comparetti, Virgilio nel medio evo, a cura di Giorgio Pasquali, La nuova Italia, Firenze 1955, 2 voll;
Giovanni Vitolo, Tra Napoli e Salerno: la costruzione dell’identità cittadina nel Mezzogiorno medievale, Carlone, Salerno, 2001;
Francesco Senatore, La leggenda erudita di Pietro Barliario, mago salernitano, in “Rassegna storica salernitana”, vol. 43 (2005) pp. 275-292.
COme sempre bell’articolo, suggestivo il fatto che una “emanazione” di Pietro Barlirio, detto Pietro Baialardo, esista anche in Abruzzo. Anche lì si tratta di un mago alle prese con demoni per far costruire strade in una notte. Che guarda caso portano a Napoli…
Interessante. Anche qui a Salerno esiste la variante Pietro Baliardo, il che ha portato qualcuno a congetturare che si trattasse in realtà di Pietro Abelardo… Ma un’ipotesi del genere secondo me non ha alcun fondamento.
Personalmente credo che i medici siano rimasti degli stregoni fino a qualche decennio fa. Cioè quando gli ingegneri i matematici e i fisici gli hanno messo a disposizione tutte quelle apparecchiature elettroniche (microscopi, raggi x, ecografie, risonanze….) che consento loro di fare diagnosi realmente scientifiche. Figuriamoci cosa dovevano essere 2000 anni fa.
Sai, quella sera alla tua premiazione c’ero anch’io. Chissà, magari un giorno mi autograferai il tuo libro.
Un tantino riduttivo come commento, soprattutto se riferito alla Scuola Medica Salernitana.
E’ vero, le apparecchiature elettriche sono arrivate qualche decennio fa, ma non sarebbero servite a nulla senza che fosse già chiaro come utilizzarle. Questo processo è iniziato proprio a partire dalla Scuola Medica Salernitana. Se leggi i testi dei maestri della Scuola, già a partire dal X secolo, vedi come i metodi di diagnosi che sviluppano anche se ovviamente basati su quello che c’era sottomano (controllo del polso, analisi dell’urina, osservazione della pelle e dei bulbi oculari, ecc.) fossero estremamente sofisticati. Si può dire che erano scientifici secondo gli standard del tempo, tant’è vero che anche allora c’erano le polemiche contro i ciarlatani che, al posto di medicamenti e attrezzi chirurgici, usavano formule magiche e amuleti. Allora come oggi c’erano i medici e c’erano gli stregoni. Dai un’occhiatina: troverai altri articoli nel blog che te lo spiegheranno meglio.
Per il libro, ho paura che dovrai aspettare almeno aprile prossimo: la Centoautori almeno questo prevede. Intanto, se t’interessa, puoi vedere se ti piace questa poesiola in napoletano che ho pubblicato qui (in realtà è una canzone, destinata ad esser musicata, il che avverrà spero fra breve): http://www.aphorism.it/federica_garofalo/poesie/canzone_di_marotta_amalfitana_per_fra_guittone_d/
Grazie mille!
Io invece ti invito a leggere un testo di fisica.
Ciao.
Di fisica di oggi, ma non di come la concepivano nel Medioevo!
Perché anche lì ci sono delle sorprese.
E’ ormai provato che le scoperte della Rivoluzione scientifica del Seicento non sarebbero state possibili se non vi fosse stato tutto il lavoro dei secoli del Medioevo. Uscirà l’anno prossimo nell’edizione italiana un libro ormai tradotto in tutti il mondo, “God’s Philosophers” di James Hannam, storico della scienza dell’Università di Oxford, che mette in luce proprio gli enormi passi avanti che sono stati fatti nel Medioevo rispetto all’Antichità in relazione alle scienze, e dunque anche della fisica. Esempio, c’era già in embrione il concetto di moto inerziale, e quello di rifrazione della luce.
Su questo blog ho tradotto tre suoi articoli che parlano proprio della scienza nel Medioevo. Li trovi nella sezione “Scienza, tecnologia e medicina”. Per saperne di più, ecco l’indirizzo del suo blog (in Inglese):
jameshannam.com
Ciao!
Dal punto di vista dello studio della cultura, bisognerebbe prendere in considerazione il fatto che Virgilio e’ l’arci-poeta della cultura latina. La sua evoluzione in mago mi sembra molto simile al fato di due poeti realmente esistiti, il gallese Taliesin e il norvegese Bragi il Vecchio, e specialmente di Taliesin. Taliesin fu identificato con un mito celtico dell’arci-poeta come incarnazione del dio supremo Lug (gallese Lleu). Bragi, senza arrivare a tali altezze, divenne nondimeno uno dei dodici dei di Asgardhr. Insomma, io penso a un contesto in cui venisse naturale identificare il massimo poeta di una cultura con lo spirito stesso della sapienza (e quindi della magia) e forse con un dio pagano. Questo non sarebbe stato possibile nel medioevo cristiano, ma potrebbe spiegare perche’ il Virgilio della leggenda non faccia la brutta fine di tanti altri stregoni.