I mille anni dell’Abbazia di Cava dei Tirreni

Veduta della Santissima Trinità di Cava de' Tirreni

Veduta della Santissima Trinità di Cava de’ Tirreni

Secondo i Dialogi de Miraculis dell’abate Desiderio di Montecassino e il Chronicon Vulturnense di XII secolo, quest’abbazia dedicata alla Santissima Trinità, che ora domina la valle Metelliana, sarebbe stata fondata nel 1011 (e infatti quest’anno ricorre il millenario della fondazione) da Alferio, un monaco di nobile famiglia salernitana proveniente da Cluny, ritiratosi a vita eremitica per ringraziare di essere uscito da un precipizio senza nemmeno un osso rotto, dopo esservi precipitato con tutto il cavallo, mentre era in missione per conto del principe. In realtà, la prima notizia che abbiamo sull’abbazia si trova in un documento datato al 1025: il principe Guaimaro III e suo omonimo figlio (il futuro Guaimaro IV) concedono ad Alferio la vallata su cui il monastero era stato edificato, e, sui territori a questo annessi, riducono il potere dei loro ufficiali; questo vuol dire che la fondazione non deve essere avvenuta più di 3-4 anni prima.

Consacrazione del monaco – miniatura dal “De Universo” di Rabano Mauro, Montecassino, X secolo

Consacrazione del monaco – miniatura dal “De Universo” di Rabano Mauro, Montecassino, X secolo

Quella che vediamo è una situazione curiosa. Il monastero è costruito su territori di proprietà del principe, e fin qui niente di strano: i principi longobardi da secoli fondano monasteri su terreni di loro proprietà o su demanio pubblico (comunque appartenenti ad essi), sui quali però mantengono la proprietà, e, di conseguenza, il loro potere su questi monasteri è molto forte; ad esempio hanno il potere di nominare l’abate e di controllare il suo patrimonio. Nel caso dell’Abbazia di Cava, la situazione è molto diversa: è fondata sì su terra pubblica ma a spese dell’abate Alferio; inoltre il monastero è affidato sì “al controllo e alla protezione” del principe, ma di fatto non può esercitare questo potere perché egli stesso ha concesso ad Alferio di designare il suo successore. La risposta di questa stranezza sta forse nell’appellativo con cui i principi definiscono Alferio: pater spiritualis. Tra loro c’è uno stretto rapporto personale, e per giunta l’abate è circondato da un’ampia fama di santità (infatti oggi per la Chiesa è santo), e dunque per lui si può fare un’eccezione.

L'abate Ugo di Cluny - messale proveniente da Cluny - XIII secolo.

L’abate Ugo di Cluny – messale proveniente da Cluny – XIII secolo.

È una situazione che si può capire solo dando un’occhiata al contesto europeo di quest’inizio di XI secolo. L’abbazia di Cluny, in Borgogna, in cui Alferio si è fatto monaco, è stata la prima a pretendere che fosse l’abate a scegliere il suo successore: l’elezione del capitolo dei monaci raccomandata da San Benedetto era diventata una farsa, attraverso la quale le nobili famiglie trafficavano per assicurarsi un abate che fosse imparentato con loro, e, dunque, il controllo sul patrimonio del monastero; non basta, spesso erano gli stessi sovrani o signori feudali ad imporre gente di loro fiducia a capo di una comunità monastica e dei territori che da essa dipendevano, riducendo così gli abati a semplici “funzionari”. La riforma avviata da Cluny a partire dal X secolo, e che ormai ha dato vita ad una congregazione potente e influente, i cluniacensi, mira proprio a liberarsi dall’influenza del potere secolare con una maggiore autonomia e un legame più stretto con il papa, e in più a dare un taglio netto a intrallazzi e gozzoviglie varie con una regola rigidissima e austera. Inutile dire che i “monaci neri” di Cluny sono visti malissimo dai potenti d’Europa, mentre invece diventano l’avanguardia della riforma spirituale e istituzionale della Chiesa intera.
Questo è anche l’obiettivo di Alferio, sebbene non possiamo dire che quello della Santissima Trinità di Cava sia stato un monastero cluniacense in senso stretto: e se lo può permettere, data la sua forte amicizia con i principi di Salerno.

Monaco e re - miniatura dal “De Universo” di Rabano Mauro, Montecassino, X secolo.

Monaco e re – miniatura dal “De Universo” di Rabano Mauro, Montecassino, X secolo.

Questo equilibro è però fragile, e i nodi vengono al pettine nel momento in cui Alferio muore, nel 1052: nello stesso anno muore assassinato l’ultimo grande protettore dell’abbazia, il principe Guaimaro IV, vittima di una congiura di palazzo, e gli succede il figlio Gisulfo II. Probabilmente è lui, come leggiamo dalle fonti scritte, a tentare di intromettersi negli affari del monastero, tentando di nominare egli stesso il suo successore. Il nuovo abate sarà invece colui che Alferio aveva scelto prima di morire, Leone di Lucca: la sua scelta non è stata casuale, Leone non è salernitano e dunque non può essere strumentalizzato né dal principe né della nobiltà longobarda.

Il vescovo Ildebrando di Capua e il principe Riccardo Drengot – miniatura dal Regesto di S. Angelo in Formis, XII secolo.

Il vescovo Ildebrando di Capua e il principe Riccardo Drengot – miniatura dal Regesto di S. Angelo in Formis, XII secolo.

Nel frattempo, però, l’Europa sta cambiando, il Sud Italia sta cambiando: dei clan di guerrieri a cavallo provenienti dal Nord della Francia, i Normanni, aggregati intorno a capi carismatici come Riccardo Drengot e Roberto d’Altavilla, inizialmente al servizio dei principi longobardi come mercenari, si stanno pian piano impossessando del Mezzogiorno. Il potere dei principi longobardi si è dunque ridotto di molto, e Gisulfo è divenuto semplicemente uno dei tanti signori che si contendono lo stesso territorio, prima di essere definitivamente spazzato via nel 1076, con la presa di Salerno da parte di Roberto il Guiscardo. I Normanni portano con sé un nuovo modo di intendere il potere, diverso dal sistema longobardo, fortemente centralizzato, in cui è il principe a governare per mezzo di ufficiali delegati: quello feudale, basato sul legame personale tra il vassallo e il suo signore, nel quale uno s’impegna alla fedeltà, l’altro alla protezione; e questa forma di potere vale anche nel rapporto con i monasteri.
Per giunta, con il sinodo di Melfi del 1059 indetto da Nicolò II e poi con l’elezione di Gregorio VII nel 1073, legatissimo all’abbazia di Cluny, la lotta agli abusi e l’affrancamento dal potere secolare non riguarda più solo un movimento, ma la Chiesa intera.

Chiostro - XII-XIII sec. - Cava dei Tirreni, Abbazia della SS. Trinità.

Chiostro – XII-XIII sec. – Cava dei Tirreni, Abbazia della SS. Trinità.

L’abbazia della Trinità di Cava diventa così, insieme a quella di San Benedetto a Montecassino, il centro propulsore della riforma della Chiesa nel Mezzogiorno: le donazioni aumentano in maniera esponenziale, a partire da quelle dei nuovi sovrani normanni, e i suoi possedimenti s’irradiano nell’agro nocerino-sarnese, nel Picentino, nel Cilento e nel Vallo di Diano, fino in Calabria, ma anche nelle città, Salerno compresa, molti monasteri prima dipendenti dai principi longobardi sono posti sotto la tutela dell’abate di Cava, tanto che l’abbazia arriva a inglobare, tra il 1079 e il 1123, un centinaio tra chiese e monasteri; tra l’altro i suoi monaci contribuiscono in modo significativo anche al ritorno del cristianesimo nella Sicilia riconquistata agli Arabi.

Cripta Cimitero longobardo - Cava dei Tirreni, Abbazia della SS. Trinità. - XII sec.

Cripta (il cosiddetto “cimitero longobardo”) – Cava dei Tirreni, Abbazia della SS. Trinità. – XII sec.

A questo periodo potrebbe risalire la cripta romanica (il cosiddetto “cimitero longobardo”), forse una delle poche testimonianze della grande chiesa che l’abate Pietro, nipote di Alferio, fa innalzare al posto di quella precedente, troppo modesta per accogliere il pontefice Urbano II in visita all’abbazia nel 1092.
L’abbazia è ormai una potenza politica ed economica, la più importante signoria ecclesiastica del Mezzogiorno. E i suoi monaci, come al solito, sapranno trarre vantaggio dalle potenzialità che offrono i propri territori. Sfruttano le vie di comunicazione fluviali e marittime, come i porti di Cetara e Vietri sul Mare sulla Costiera Amalfitana (frequentati anche da mercanti Genovesi, Pisani e Romani) che, all’inizio del Duecento, vengono resi più efficienti con un apposito regolamento: la stessa abbazia possiede, nel XII secolo, almeno una nave propria con un proprio nocchiero. D’altronde i prodotti da commerciare ci sono, eccome: le enormi proprietà dell’abbazia, date spesso in concessione a dei coltivatori, forniscono grano, olio, miele, castagne, vino e legname: basti pensare che, alla metà del XIII secolo, dalle sole terre di Cava provengono 1000 quintali di nocciole e 2000 di castagne, che vengono immesse anche nel mercato cittadino di Salerno.

Rocca, detta "Castello dellAbate" - Santa Maria di Castellabate - XII sec. rimaneggiato nel XVI sec.

Rocca (detta “Castello dell’Abate”) – Santa Maria di Castellabate – XII sec. rimaneggiato nel XVI sec.

Un esempio ne è l’insediamento cilentano di Castellabate, dominato dalla grande rocca fatta costruire dall’abate Costabile nel 1123: il privilegio con cui il duca di Puglia Ruggiero Borsa autorizza la costruzione del castello descrive un villaggio fiorente, fornito di ben due chiese, e, per controllare esso e il vasto territorio circostante, viene edificata una rocca che prevede già dall’inizio un forte carattere militare.
Di queste molteplici attività economiche rimane traccia nella mole imponente dei documenti custoditi nell’archivio dell’abbazia, dove, ancor più che nei pregiati manoscritti miniati come la “Bibbia Visigotica” di IX secolo, possiamo gettare uno sguardo quasi in diretta sulla vita dell’abbazia: 15000 pergamene, dall’VIII al XV secolo, registrano nomi, località, vendite, donazioni, affitti e trattative con signori e contadini.

Privilegio di papa Leone IX - pergamena, XI secolo - Cava dei Tirreni, abbazia della SS. Trinità, Archivio Abbaziale.

Privilegio di papa Leone IX – pergamena, XI secolo – Cava dei Tirreni, abbazia della SS. Trinità, Archivio Abbaziale.

La ricchezza raggiunta dall’abbazia in quel periodo è testimoniata, d’altronde, dall’ambone romanico che ancora oggi spicca in mezzo ai rifacimenti barocchi della chiesa, e che ci può far intuire lo splendore voluto dagli abati del XII secolo, soprattutto da Marino: le fonti scritte ci informano che egli recluta esperti artefici da Napoli, Amalfi e Salerno per impreziosire la chiesa dell’abbazia con affreschi e con un pavimento in stile cosmatesco, oggi purtroppo scomparsi; come tutti i monasteri, dispone anche di una foresteria per ospitare i pellegrini, oggi sede del Museo Abbaziale.

Ambone romanico - seconda metà dell'XI secolo - Cava dei Tirreni, abbazia della SS. Trinità, basilica.

Ambone romanico – seconda metà dell’XI secolo – Cava dei Tirreni, abbazia della SS. Trinità, basilica.

Naturalmente c’è anche l’altra faccia della medaglia, soprattutto in età angioina, quando una serie di congiunture determina una crisi generale del Mezzogiorno. La prima batosta arriva con la Guerra del Vespro (1282-1302), durante la quale gli Almugaveri, i guerriglieri catalani al soldo di Pietro d’Aragona, mettono a ferro e fuoco il Cilento e il Vallo di Diano, molti villaggi vengono completamente distrutti e la popolazione decimata o costretta a fuggire sulle montagne: basti pensare che i 10 casali di Castellabate, che nel 1280 contavano un migliaio di famiglie, nel 1302 le vedono ridotte a 90.
Tutto questo, aggiunto alle pesanti tasse imposte dai sovrani angioini, indebitati fino al collo, fa precipitare rapidamente le cose: gli abati di Cava, come gli altri baroni dell’epoca, sono assai esigenti e pretendono tributi molto alti principalmente dalle città inglobate nei loro domini: in particolare proprio la città di Cava è in perenne conflitto con l’abbazia proprio per acquisire l’autonomia amministrativa e soprattutto fiscale, i suoi abitanti non ne possono più. E si arriva così alle maniere forti: nel 1364 la città si rivolta e l’abbazia viene saccheggiata. Per non parlare della situazione nelle campagne, dove il malessere dei contadini sfocia nel brigantaggio: nel 1357, approfittando di un momento in cui l’abate Mainerio si trovava alla rocca di Castellabate, i banditi si erano impadroniti del castello sequestrando addirittura il prelato per più di un anno, e non lo avevano liberato prima di averlo costretto ad accettare condizioni molto pesanti.

Per saperne di più:
Vito Loré, Monasteri, principi, aristocrazie: la Trinità di Cava nei secoli XI e XII, Fondazione Centro italiano di studi sull’alto Medioevo, 2008;
Storia e civiltà della Campania: vol. 2, Il Medioevo, a cura di Giovanni Pugliese Caratelli, Napoli, Electa, 1996;
Pietro Ebner, Chiesa, baroni e popolo nel Cilento,  Roma, Ed. di Storia e Letteratura, 1982, 2 voll;
Alessandra Periccioli Maggese, Cava, in “Enciclopedia dell’Arte Medievale”, Roma, Treccani, 1993;
Barbara Visentin, Identità signorili e sistemi di gestione tra IX e XII secolo. Le terre del Castrum Iufuni e la Trinità di Cava, in “Archivio Normanno-Svevo”, 3 (2011-2012), Ariano Irpino, Centro di Studi Normanni, pp. 33-58.

Articolo pubblicato su “Saperi in Campania”:
La storia della Santissima Trinità di Cava de’ Tirreni;
Arte e potere nell’Abbazia di Cava dei Tirreni.

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Buongiorno a tutti! Sono una paleografa con la vocazione per la scrittura e il pallino del Medioevo e delle sue storie. Amo la lettura, la buona musica, la poesia, la filosofia, l'arte, il cinema: in breve, qualunque espressione del buono, del bello e del vero. Nel 2011 ho vinto l'VIII edizione del premio letterario "Il racconto nel cassetto" con il racconto "Il Tamburo delle Sirene", pubblicato dalla Centoautori in "Il Tamburo delle Sirene e altri racconti" (2012). Ho collaborato con il sito di Radio CRC e con il giornale on-line "Citizen Salerno" e ora collaboro con la rivista on-line "Rievocare". Faccio parte del gruppo di living history "Gens Langobardorum" e come rievocatrice indipendente promuovo la Scuola Medica Salernitana, gloria della mia città. Nel 2020 ho pubblicato con la Robin "Mulieres Salernitanae. Storie di donne e di cura".
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