Scende in campo il Barbarossa

di Marco Meschini

Incoronato re dei tedeschi nel 1152, dominò l’Europa ripristinando l’assetto imperiale del diritto romano.

Federico Barbarossa con i figli Enrico e Federico - miniatura - fine XII secolo

 

«Nell’Impero ci sono due famiglie degne di alto nome: sono le casate dei Ghibellini e dei Guelfi. La prima sforna imperatori, la seconda grandi duchi. Queste famiglie, affamate di gloria com’è normale che sia per i grandi uomini, hanno spesso disturbato la pace dello Stato per invidia reciproca. Ma la volontà di Dio, che vuole la pace per il suo popolo, ha deciso di riunire questi due muri separati in una pietra angolare:e il suo nome è Federico». Con queste parole Ottone, il potente vescovo di Frisinga in Baviera, salutava l’elezione del nuovo re tedesco nel marzo del 1152. Ottone, che era peraltro zio del nuovo sovrano, dimostrò un fiuto eccellente: perché quel giovane di circa trent’anni che i grandi elettori tedeschi avevano acclamato re di Germania era destinato a regnare per quasi quarant’anni, di cui trentacinque come imperatore.
Federico I, detto Barbarossa per via della barba ramata che sfoggiava e amava veder raffigurata in sculture e miniature (e proprio Il Barbarossa s’intitola la biografia che a lui ha dedicato Franco Cardini, in edicola da domani con il Giornale), aveva dato buona prova di sé durante la seconda crociata (1146-1148) tanto che un altro suo zio, Corrado III re di Germania, lo suggerì come erede al posto del figlio, ch’era del resto ancora un bambino. Federico godeva poi dell’appoggio di entrambe le famiglie dominanti, perché il matrimonio dei suoi genitori era stato combinato tra due esponenti delle casate rivali. E quindi era un rampollo maturo e accettabile per tutti, tanto più che seppe rinunciare a qualche terra per non scontentare nessuno.
Ma la sua visione era di quelle da far tremare le vene ai polsi e lo si capì subito con una lettera che presentò il suo programma: ovvero un’altissima concezione del potere imperiale, fondato su una ripresa del diritto romano allora in pieno fermento fra i docenti di Bologna. Il che significava che la pace pubblica sarebbe stata restaurata e i diritti imperiali ripristinati. E questo di qua e di là delle Alpi: furono ben sei le sue discese in Italia, intese a cingere la corona della Penisola e quindi quella imperiale (1155) oltre che a far valere i suoi diritti sui Normanni nel Sud e, soprattutto, sulle città ribelli nel Nord Italia. Si apriva così una lunga stagione di guerre che videro il sostanziale prevalere dell’imperatore sino al 1168 per poi assistere al ribaltamento della sorte. Nel frattempo Milano, capofila della rivolta e della Lega lombarda, era stata domata e semidistrutta (1162), Roma era stata catturata(1167) e il papa, che si era schierato contro le pretese imperiali, costretto a rifugiarsi a Benevento. Federico aveva anche fatto eleggere un altro pontefice ma forse Dio l’aveva giudicato troppo spudorato, tanto da inviargli una terribile pestilenza. In poche settimane il magnifico esercito che aveva raccolto si dissolse ed egli stesso dovette fuggire verso Nord sotto falso nome per non finire nelle mani dei nemici.
Il vento era cambiato. E si arrivò così alla battaglia di Legnano, nel 1176, quando Federico non seppe sottrarsi allo scontro e finì sconfitto, cadendo da cavallo e nel fango. Dissero fosse morto ma si era salvato sotto mentite spoglie, riparando nella amica Pavia. Perché va sempre ricordato che il confronto non era tanto Italia-Germania, ma tra complessi e intrecciati centri di potere in antagonismo anche sullo stesso territorio. Tanto più che Milano aveva sì guidato la «resistenza», ma aveva pure angariato senza alcun diritto molte città sue rivali, in difesa delle quali – oltre che dei propri interessi – era sceso l’imperatore.
Sconfitto militarmente, Federico dimostrò una straordinaria vitalità politica stringendo una pace separata con il papato nel 1177 a Venezia e inducendo in questo modo anche la Lega Lombarda a una pace-compromesso nel 1183 sul lago di Costanza. Si era inoltre sposato con Beatrice di Borgogna, estendendo verso Ovest l’influenza diretta dell’Impero. E nel 1184 la concordia era tornata sulla Cristianità, tanto che papa e imperatore siglavano a Verona una serie di pergamene- sono famose quelle contro gli eretici – che suggellavano l’alta pace europea nel nome di Cristo.
Sistemati, non senza qualche affanno, anche gli affari nel regno tedesco, Federico raccolse un’ultima sfida: recuperare agli infedeli Gerusalemme, caduta nuovamente preda dei musulmani nel 1187 a opera di Saladino. Si dice che Federico scrivesse al sultano per annunciargli l’arrivo di un esercito mai visto; e si narra pure che la risposta di Saladino suonasse: vieni pure. Tant’è che Federico smosse le fondamenta stesse dell’Impero arruolando un’armata di proporzioni epiche, forte di forse 100mila uomini. E chissà che cosa avrebbe realizzato, ultrasessantenne ormai al culmine dell’esperienza, se un accidente fatale non lo avesse colto sulle rive d’un piccolo fiume in Asia Minore. Morì così, il 10 giugno 1190, mentre lo attraversava o forse prendendo un bagno, fra lo stupore di tutti.

da “Il Giornale”, Venerdì 18 novembre 2005

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